Ancora sulla comunicazione: in che modo il fallimento della politica potrà aiutare i radiologi

di | 3 Marzo 2013

Queste ultime elezioni politiche dovrebbero rappresentare per tutti, anche per noi radiologi, una lezione magistrale. Perché ormai sembra ufficiale: le modalità della comunicazione sono cambiate, i modelli adoperati finora sono obsoleti e occorre, se non inventarsi qualcosa di nuovo, quantomeno adattarsi ai nuovi schemi che negli ultimi anni chiunque frequenti internet ha imparato a riconoscere.

A non volerci riconoscere altro, sperando che l’altro siano pure paranoie parapolitiche da deluso cronico, resteranno nella memoria collettiva alcune immagini esemplificative. Tipo: Bersani con la faccia torva che sul palco della conferenza stampa mette e toglie gli occhiali un centinaio di volte al minuto, dopo aver dissipato un vantaggio inestimabile per pura incapacità non solo di cedere il passo al cavallo vincente, ma anche di comunicare al prossimo una parvenza di idea intelligibile. Un improbabile Monti che gioca sul tappeto di casa con i nipotini, con la bocca così sottile che (come ha chiosato qualcuno) sembra la fessura di un bancomat. Ingroia, così poco comunicativo che Crozza, imitandolo, sembrava più autentico dell’originale. Persino Berlusconi, permettetemi l’ardita analisi controcorrente, ha comunicato male: sebbene sia stato capace, a prescindere da qualunque altra considerazione personale politica o etica, di una impresa epica. Certo, recuperare un gap percentuale spaventoso a mani nude, da solo e contro il manipolo di inetti imbecilli che lo circondano, è stata un’impresa che passerà alla storia: ma rimane il fatto che il Berlusca ha adoperato mirabilmente meccanismi comunicativi arcaici e li ha veicolati per il solo tramite del mezzo di comunicazione più obsoleto, ossia la televisione. I punti percentuali alla fine li ha recuperati, certo, ma li ha recuperati da quella fetta di elettorato che guarda ancora la televisione ritenendola un veicolo affidabile di informazione: di certo non la futura classe dirigente del paese. E’ questo il motivo per cui il suo sforzo risulterà sterile anche sulla breve distanza: Grillo ha fatto molto meglio non solo senza usare il mezzo televisivo, ma addirittura in polemica evidente con esso.

Tornando a bomba, la lezione vale anche per noi radiologi. Che maneggiamo l’avanguardia tecnologica della medicina e commettiamo gli stessi errori dei politici di professione: sovente non siamo culturalmente adeguati al nostro ruolo e, se lo siamo, non riusciamo a comunicare in modo adeguato le conclusioni che ci consente la nostra visione privilegiata del problema. Quando uno di noi sale sul palco di un congresso la tendenza purtroppo è sempre la stessa: pontificare. Tipo: Questo è il problema, questa la spiegazione, quest’altra la soluzione. E le cose stanno così perché sono io a dirlo, dunque non è previsto il diritto di replica.

Purtroppo il sistema fondato sull’associazione materiali-metodi, analisi dei dati, discussione e conclusioni va ancora bene se stiamo scrivendo un articolo scientifico sulla novità scientifica dell’anno; ma se stiamo cercando di divulgare, di trasferire all’uditorio la nostra personale esperienza sull’argomento, il sistema è fallimentare perché si fonda su premesse concettuali che risalgono a metà del secolo scorso, quando le fonti di informazioni erano poche e selezionate. Oggi, nel terzo millennio, le persone hanno accesso libero alle informazioni: dunque il problema di base non è come procacciarsi le informazioni, ma come metterle insieme.

Ed è questo che ci viene chiesto da chi spende soldi e tempo per venirci ad ascoltare, magari dall’altro capo del Paese. Chi ci ascolta cerca la condivisione non delle informazioni che possediamo, quelle può trovarle ovunque, ma del metodo che usiamo per combinarle e trarne strumenti utili nel quotidiano lavorativo. Il livello culturale dei radiologi italiani non è così disomogeneo come potrebbe sembrare a una prima analisi: quello che fa la differenza tra i professionisti è la capacità di ricombinare le informazioni, ribaltare i punti di vista, individuare uno schema universale partendo dal particolare in cui lavora ogni giorno e metterlo alla prova con spietata lucidità, fino a che regge il colpo dell’analisi.

I soldi stanno finendo anche in ambito medico: basta dare un’occhiata in giro per rendersi conto che l’offerta in ambito formativo è nettamente inferiore rispetto a qualche anno fa. In questo senso, così come viene espressa in lingua giapponese, la crisi rappresenta davvero al tempo stesso pericolo e opportunità. Il pericolo è che molti di noi perdano il privilegio del palcoscenico; l’opportunità è che questo privilegio rimanga solo ai più meritevoli. In questo la crisi potrà agire in direzione opposta rispetto alla politica: la quale, che si tratti delle sorti del Paese o di quelle della Radiologia, agisce secondo i meccanismi antimeritocratici che della politica nostrana sono da sempre l’elemento fondamentale.

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