Come presentarsi bene

di | 19 Ottobre 2011

Un collega Radiologo ieri mi ha scritto una e-mail molto divertente, chiedendomi un piccolo consiglio: deve tenere una relazione in un congresso organizzato nel suo ospedale, e a quanto pare è la prima assoluta della sua vita. Inspiegabilmente affascinato dalle mie recenti dissertazioni su toraci e addomi, ritiene che io abbia qualcosa da suggerire in merito. E io, che non mi tiro mai indietro di fronte a nulla,  ci provo.

Anche perché in fondo la mia idea sull’argomento si riduce a quattro piccole regole, quelle che cerco di rispettare quando invitano me a parlare da qualche parte.

Regola numero uno. E’ quella aurea, da cui discendono tutte le altre: non accettate mai, e dico mai, di tenere relazioni su argomenti di cui non vi siete occupati ogni giorno, trecento giorni all’anno, per almeno cinque anni di seguito. Perché i nostri colleghi, anche quelli che in genere stazionano in platea e non sul palco, non sono stupidi e vi sgamerebbero in un secondo. A organizzare una relazione scolastica dopo aver scartabellato PubMed ci vuol poco: ma se non avete mai svernato con quell’argomento, e mai vi siete accaniti a risolvere i vostri problemi diagnostici a) modificando uno per uno i parametri delle vostre sequenze di RM fino allo sfinimento del tecnico, b) con lo studio matto e disperatissimo e c) soprattutto con l’esperienza quotidiana, il che comprende anche il brivido mistico di dividere il desco della mensa con il vostro clinico di riferimento, siete destinati a fare la figura barbina dello sgobbone che ha imparato la lezione a memoria. Con ciò che ne consegue.

Regola numero due. Ribaltate il punto di vista sull’argomento che state trattando. La lezioncina scolastica è facile da approntare: basta seguire la falsariga dell’ultimo articolo pubblicato su Radiographics e in qualche modo avrete l’impressione di aver tagliato la linea del traguardo; anche se l’uditorio userà commentare la vostra performance con l’impietoso “che vecchio trombone” che il mio amico Johnny ha tributato all’oratore di una noiosissima relazione recentemente tenuta in terra di tartufi. Più difficile è non dico inventarsi qualcosa di nuovo, che è chiedere troppo ed è privilegio di pochi eletti, ma concatenare le nozioni in modo diverso e alternativo rispetto a ciò che l’uditorio si aspetta da voi. Se c’è una cosa che Internet ha insegnato al mondo intero è che si può arrivare dal punto A al punto B non solo seguendo la via più diritta, ma anche un’infinità di percorsi alternativi; alcuni dei quali ci arricchiscono molto di più della strada conosciuta. E se c’è una cosa che l’uso dei PC ci ha insegnato, specie da quando sono in uso Power Point e programmi consimili, è che le informazioni possono essere ricombinate in modi molto fantasiosi. E che ci sono diverse strategie possibili per giungere a una sintesi soddisfacente. A volte è la difficoltà che aguzza l’ingegno: l’anno scorso, in un’occasione per me particolarmente pregna di significati, mi fu chiesto di sviscerare in soli venti minuti anatomia e tecnica di studio della laringe. Impresa, chi si occupa dell’argomento può comprendermi, quasi impossibile da realizzare senza lasciare morti e feriti sul campo. Fui costretto a inventarmi qualcosa di completamente diverso dal solito: e immaginatevi il sollievo che mi pervase quando l’uomo che indegnamente considero un mentore disse che era soddisfatto del lavoro svolto.

Regola numero tre. Siete Radiologi, ma non schiavi delle immagini radiologiche. Vi faccio un altro esempio di vita vissuta: nel 2007 fui invitato in un consesso di pneumologi a parlare della radiologia delle infezioni polmonari. A fine lavori fu motivo di interessanti quanto inattese considerazioni collettive l’evidenza (a quanto pare sconvolgente, almeno per i clinici) che la mia relazione aveva meno immagini radiologiche di quella del pneumologo che mi aveva preceduto. Perdincibacco, siamo Radiologi Clinici! Il nostro scopo, salvo quando diamo qualche imbeccata al collega di reparto più giovane, non è mostrare una carrellata di immagini di cui l’uditorio capisce poco e niente, ma di mettere in piedi un discorso principalmente clinico. O, per meglio dire, un ragionamento in cui il segno radiologico trovi piena giustificazione nella clinica e magari ne risolva i problemi (o contribuisca a farlo). Per cui il suggerimento è di evitare la lezione ex cathedra e parlare invece delle immagini e dalle immagini. Per poi tornare alla clinica, da dove in fondo si era partiti.

Regola numero quattro. Siate scarni, ma scarni assai. Diapositive senza orpelli e usare un font senza grazie (fra arial e times new roman, per esempio, scegliete il primo e senza esitazioni: si legge decisamente meglio). Non adoperare più di cinque o sei parole per riga ed evitare diapositive con frasi interminabili da leggere pedissequamente (e che l’uditorio leggerà altrettanto pedissequamente, non prestando invece attenzione a ciò che starete dicendo): danno solo il senso della vostra insicurezza, e vi riportano per direttissima alla regola numero uno. Se siete padroni dell’argomento basteranno poche parole per diapositiva, il resto lo direte voi basandovi sulla traccia che avrete ideato. Uno dei migliori relatori che abbia mai ascoltato, giusto per fare un esempio, è un collega torinese in grado di affascinarvi per mezz’ora sull’anatomia della laringe mostrandovi quasi solo schemi anatomici e immagini radiologiche.

Ecco, questo è quanto: poi, è chiaro, il vostro stile lo troverete da soli e soprattutto lo affinerete nel tempo. E se continueranno a invitarvi a corsi e congressi anche dopo le prime disastrose volte, beh, quella sarà la prova che qualche progresso lo state pur facendo.

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