Correre da te

di | 6 Febbraio 2012

 

Sai cosa penso? Che sei fortunata. Che siamo fortunati. Che papà ne ha vista tanta di sofferenza, negli ultimi anni, da non sapere se sia meglio maledire il creato o pregare che un senso nascosto, da qualche parte, ci sia davvero.

Perché papà se li ricorda tutti, quei piccoli volti scavati dagli occhi enormi: occhi che sembravano sbigottiti ma in realtà quasi sempre erano soltanto ricolmi di consapevolezza e rassegnazione. Chissà perché un bimbo che soffre, ma che soffre veramente, ha sempre questo sguardo adulto, l’espressione di amara consapevolezza che in genere anima solo il viso dei vecchi prossimi alla dipartita. Forse davvero la sofferenza serve a crescere, a evolvere e a raffinarsi, come qualcuno afferma da secoli, o sono tutte balle?

Ma tu non lo sai, tu nemmeno ti sei posta la domanda. È troppo presto per te, e io ogni sera prego goffamente il Padreterno affinché sia misericordioso e ti lasci il tempo di imparare le tue lezioni tra errori, trionfi, lampi di gioia e inciampi di tristezza. Prego che ti lasci cadere per poi farti rialzare solo con le ginocchia sbucciate e niente altro. Che ti faccia piangere al solo scopo che tu comprenda il vero significato della gioia.

Così, mentre penso a tutte queste cose, tu sei tutta contenta perché le unghie ti sono ricresciute e finalmente possiamo colorarle con quello smalto azzurro di mamma che ti piace tanto: e io, mentre ti soffio sulle ditine per farlo asciugare e tu ridi perché ti faccio il solletico, devo davvero fare uno sforzo sublime per non prenderti in braccio e tenerti stretta stretta fino a che dovrò uscire di casa per andare al lavoro. Dove papà incontrerà altri bambini molto malati, con quell’espressione da vecchio rassegnato incisa sul volto: e tu non immagini nemmeno la fatica che ci vuole, in quei momenti, a non mollare tutto e scappare via. E correre da te.

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