Credo nelle seconde possibilità, e credo anche negli angeli

di | 15 Maggio 2018

Ogni tanto, per grazia di Dio, mi capita di fare ancora turni di urgenza. E ogni tanto, altrettanto per grazia ricevuta, arriva un bell’addome diretto: e io, come facevo qualche anno fa, se il pattern è sospetto non sto a perdere tempo, chiamo il paziente in ecografia e cerco di risolvere la questione nel minor tempo possibile.

Entro in sezione ecografia e trovo il paziente già disteso sul lettino. Santo cielo, è giallo come un limone: nell’anamnesi non mi avevano mica scritto che era itterico, solo che aveva dolore addominale. Così, prima ancora di appoggiare la sonda, lo guardo in viso e ho già fatto la mia diagnosi.

Mentre termino l’esame chiacchiero con il signore disteso accanto a me. È sofferente, agitato. Cerco di tranquillizzarlo ma faccio fatica. A un certo punto lui mi dice: Dottore, e se questa fosse l’ultima volta?

Quale ultima volta, chiedo io, facendo finta di niente.

L’ultima volta che farò questo esame, risponde lui amaro.

E così mi sono messo a riflettere.

Quante volte è stata l’ultima volta di qualche cosa, una qualunque, mentre noi ce ne stavamo tranquilli e sereni a crogiolarci nella nostra sicurezza quotidiana? Come fa l’anziano a sapere che sta guidando per l’ultima volta la sua automobile? Come può l’amante sincero sapere che quella, proprio quella, è l’ultima volta che farà l’amore con la donna che ama più di ogni altra cosa al mondo? O il genitore a immaginare che quella sarà l’ultima volta che suo figlio gioca con le automobiline di Cars, o che sua figlia dormirà con il peluche preferito? Come si può sapere in anticipo che non stringerai mai più quella mano o non prenderai mai più un caffè con quella persona a cui credevi di volere bene? Come puoi pensare che quel saluto frettoloso, dato alla stazione dei treni, è l’ultimo che indirizzerai a tuo padre o tua madre? O che il referto radiologico che firmi, in questo momento preciso, sarà proprio l’ultimo della tua vita?

Non puoi, ecco qual è il punto. La vita è indeterminatezza, imprecisione. La vita è irregolarità, asimmetria, imprevedibilità. Le cose accadono o non accadono e noi possiamo poco; e se possiamo qualcosa, secondo le leggi della fisica quantistica, è ben poco al confronto della probabilità a priori che una cosa accada o meno.

Ma la vita non è solo questo. È anche sorpresa, è il sorriso inatteso dopo anni bui, è una mano che ti viene tesa mentre rischi di annegare, è il cuore che ti si apre e rifiorisce come un campo di papaveri proprio quando pensavi che tutto fosse marcito.

Una parte di queste riflessioni però non è mia. È del mio paziente, quello tutto giallo in viso, disteso sul lettino dell’ecografia con l’espressione sofferente.

Ma stasera non vi dirò quale parte.


La canzone della clip è “No more cloudy days”, degli Eagles, tratta dall’album “Long road out of Eden (2007). Un album che non avevo mai sentito in precedenza, e che come spesso accade in queste ultime settimane mi sorprende a ogni ascolto. Purtroppo in giro ci sono solo versioni cover, e io ho scelto quella che vedete in alto, con i due chitarristi in primo piano. Che, lo confesso, mi fanno una tenerezza che non vi dico.

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