Erano altri tempi

di | 20 Marzo 2013

Erano altri tempi.

Me ne accorgo parlando con il signore di 76 anni a cui sto facendo l’ecografia, in pronto soccorso: il quale mi racconta che sua mamma, gravida del primo figlio, aveva lavorato nei campi fino all’ultimo istante. Talmente ultimo, l’istante, che le erano venute le doglie in mezzo al campo di grano; e suo marito, ossia il padre del nascituro, era dovuto correre in cerca della levatrice che abitava parecchi chilometri più in là.

Per quanto le gambe del marito potessero essere veloci, il travaglio lo fu ancora di più: e la madre scodellò il neonato in mezzo all’erba del prato, all’ombra di un albero frondoso, tutta sola. Facile immaginarsi la paura, lo sgomento, i pensieri che dovettero passare nella testa della giovane donna in quei momenti brevi eppure interminabili: erano altri tempi, ripeto, tempi di gente abituata a cavarsela con quello che c’era a disposizione.

Quando la levatrice arrivò nei campi tutto era già finito da un pezzo. La madre era distesa sull’erba, esausta, e il neonato adagiato sul fieno di un carretto parcheggiato a pochi metri. Il sole batteva forte, i grilli frinivano dai rami degli alberi. A parte quel canto monotono, nessun altro rumore nell’aria minerale del tardo pomeriggio campagnolo.

Commento, intristito: Povero bimbo e povera sua madre, anche. Chissà quanto avrà sofferto.

Non dica così, risponde lui. Quel bimbo sono io.

Ah.

Ma erano altri tempi, dicevo. Altri tempi.

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