Ho visto imbecilli che pensano in grande

di | 22 Gennaio 2017

C’è una nuova frontiera del webete sanitario, e voi dovete esserne a conoscenza.

Il webete sanitario è colui che accede in ospedale per problemi di salute non tanto propri, nel qual caso manterrebbe la proverbiale pazienza dei sofferenti veri, quanto di un parente più o meno stretto. Il webete sanitario se ne sta in agguato come una lince, cronometra i ritardi del pronto soccorso, è fieramente convinto che l’urgenza non la determini la condizione clinica dei pazienti ma l’orario di arrivo in ospedale e ritiene che tutto gli sia dovuto in tempo reale: attenzioni dell’intero corpo sanitario e disponibilità delle apparecchiature medicali. Perché per il webete sanitario non esistono le valutazioni cliniche dei medici ma solo la percezione della propria urgenza. Vera o presunta che sia.

Il webete sanitario è quello che co duce il figlio in ospedale e, nonostante tutti prendano a cuore la faccenda, ha sempre l’impressione sgradevole che il caso umano venga trascurato con grave detrimento della creatura. Lui non lo sa che il pediatra, per dire, si sbatte giorno e notte per venire a capo del problema, anche perché si è reso conto che ha a che fare con uno spostato di genitore, e che il radiologo e il chirurgo e il laboratorista partecipano agli sbattimenti in tempo reale dando disponibilità totale anche quando la faccenda sembra loro clinicamente risibile. E, quando gli tocca aspettare qualche ora per un esame o per il colloquio con il clinico, il webete sbrocca e comincia a impestare i social di invettive a senso unico contro la sanità malata, gli ospedali in degrado, i dirigenti incompetenti cui erogano stipendi d’oro, i medici interessati solo al portafogli, gli infermieri maleducati. Il webete è afflitto dalla nota sindrome della logorrea da Facebook, per capirci, e quando posta l’interminabile invettiva con nomi e cognomi dei sanitari infami e indirizzo dei reparti incriminati si compiace del numero abnorme di like che accumula. Hai visto quanta gente la pensa come me, sembra pensare tutto tronfio e incazzato al cubo.

Quello che il webete sanitario ignora è che, dopo la sentenza della Cassazione Penale Sez. V del 1 marzo 2016, il suo post ha tutte le caratteristiche di una diffamazione aggravata che, in quanto tale, può essere perseguita a termini di legge. Quando qualcuno più assennato di lui glielo fa notare il webete sbianca e si affanna a cancellare il post: ma l’internet ha la memoria lunga e di certo qualcuno tra i diffamati possiede già uno screen shot del suo post, cioè l’ha banalmente fotografato rendendolo tracciabile in eterno. Una persona di banale buon senso, a questo punto, potrebbe ancora risolvere la questione con poco sforzo: chiedendo scusa personalmente al sanitario, per esempio, adducendo come giustificazione la tensione nervosa del momento e le legittime preoccupazioni di genitore. Oppure, meglio ancora, postando su Facebook una smentita tipo: mi dispiace di aver scritto quelle boiate, in realtà il mio bambino è seguito meglio del figlio di Donald Trump e sono io, semmai, a essere un po’ nervosello. Il sanitario, si sa, da una parte è comprensivo e dall’altra è abituato a essere maltrattato, e le scuse sono sempre bene accette. Ma il webete, in genere, è pure inutilmente orgoglioso e a queste conclusioni proprio non ci arriva.

Per cui datemi retta, webeti sanitari di tutto il globo terraqueo: Facebook non è il salotto di casa vostra e non potete scrivere sulla bacheca, nel momento esatto in cui lo pensate, tutto ciò di cui vi punge vaghezza. Prima di prendere in mano il vostro cellulare contate fino a dieci, e se non basta fino a cento: perché vi assicuro che c’è in giro un numero ponderoso di medici sacramente incazzati che non aspettano altro che la vostra diffamazione per scatenarsi come Massimo Decimo Meridio alle prese con i barbari nelle foreste teutoniche.


La canzone della clip è “Gli occhi della luna”, di Ex-Otago, dall’album “Marassi” del 2016. Bella canzone.

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