I corridoi del mio ospedale, di notte, sono quasi sempre deserti

di | 25 Maggio 2013

I corridoi del mio ospedale, di notte, sono quasi sempre deserti.

E di notte li percorro con passo molto diverso da quello diurno: un passo rallentato, cogitabondo, che serve solo a condurmi al distributore di bottigliette di acqua oppure, quando comincia a far caldo, all’aperto. Perché ho bisogno di prendere una boccata di ossigeno e scrollarmi da dosso il sonno che avanza.

Li percorro a passo lento e quasi sempre spero di non incontrare nessuno: né pazienti, che sicuramente mi chiederebbero informazioni su come raggiungere qualche remoto reparto, né colleghi, che si metterebbero a discutere di casi clinici e io a quest’ora proprio non ne ho voglia, ho solo il desiderio bruciante di smemorarmi per qualche istante, staccare la spina e non pensare a nulla, davvero nulla che abbia a che fare con il mio mestiere.

Qualche giorno fa, parlando con un’amica del comune passato universitario, ho realizzato che quei sei anni di medicina per me sono stati molto duri, è vero, ma nonostante i numerosi momenti in cui ho avvertito sfinimento ed esasperazione e delusione profonda non ho mai dubitato, nemmeno per un solo istante, che la fatica di quel periodo sarebbe andata a buon fine. In poche parole: all’epoca lo sapevo che avrei tagliato il traguardo finale, lo sapevo con una certezza assurda che travalicava la somma degli indizi che avevo in mano e davvero non so dirvi perché fossi così sicuro di me e del destino che mi attendeva. Quello che so è che lo sapevo per certo anche da studente: un giorno non molto lontano sarei stato un medico, un medico di guardia notturna, e avrei percorso a passi rallentati i corridoi del mio ospedale. Ovunque fossi finito a lavorare.

Così io oggi faccio il lavoro per il quale mi sono formato con tenacia e quasi con ostinazione; e mi sento un privilegiato perché non solo un lavoro ce l’ho ancora, che già sarebbe abbastanza, ma anche perché mi occupo esattamente di ciò per cui ho studiato: la Medicina, la Radiologia.

Questo mi ricordano i corridoi del mio ospedale: che di notte, quasi sempre, sono deserti. E mentre li percorro a passo rallentato capita che io mi senta solo, ma è questione di un attimo: poi squilla il cordless ed è il solito chirurgo che non riesce a far passare le sue notti di guardia senza chiedere almeno una TC urgente.

Va bene, adesso arrivo, fai scendere il paziente, ci vediamo tra cinque minuti lì.

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