I misteri dell’antropologia medica

di | 11 Febbraio 2011

Oggi ho ricevuto un mail sorprendente.

Mittente: uno studente laureando in antropologia medica. Confesso candidamente che fino a quel momento nemmeno avevo idea di cosa fosse l’antropologia medica; ma non è questo il punto, e comunque farò ammenda in privato. Lo studente, che chiamerò Raoul, sta svolgendo una tesi di ricerca sulle tecnologie di medical imaging e mi ha posto una serie di domande. Sorprendenti, appunto, perché dimostrano che non è necessario essere addetti ai lavori per centrare alcuni dei punti più nevralgici e controversi della professione radiologo. Il che accentua il malessere di chi fa il medico oggigiorno, costretto a tollerare la mala gestione sanitaria perpetrata da chi di sanità ci capisce meno che niente.

D. Perché é meglio addestrare un radiologo a riconoscere tutte le patologie cardiache piuttosto che istruire un cardiologo a usare tecnologie di medical imaging tipo TC o RM anche solo limitatamente al suo campo?

R. Perché sono due mestieri diversi: il cardiologo è un clinico, prima di tutto, mentre il radiologo, oltre a dover essere anche un clinico (altrimenti non è un radiologo, ma solo un morfologo), è addestrato fin da piccolo a gestire le metodiche di imaging. Ma qui non è solo di imaging che si tratta. Piuttosto di tutto quello che ci sta dietro e che lo sottende: la fisica delle radiazioni, degli ultrasuoni, della risonanza magnetica. Il colpo d’occhio che un radiologo sviluppa negli anni non è minimamente paragonabile a nulla che possa sviluppare un clinico: semplicemente, non è il background culturale di un clinico. Che poi è il motivo per il quale, per esempio, negli Stati Uniti il cardiologo che referta una cardio-TC oggi non è più incriminabile se gli sfugge un tumore polmonare. A nessun radiologo sarebbe permessa una via di fuga del genere. In poche parole, la risposta alla domanda è: perché è meno dispendioso e garantisce risultati migliori sulla breve e lunga distanza (fermo restando il lavoro di squadra fra radiologo e altro specialista clinico, che è comunque imprescindibile).

D. Perché internisti, ginecologi e gastroenterologi usano di prassi le ecografie? Perché le ecografie, pur essendo tecnologie di medical imaging, non sono di competenza esclusiva dei radiologi?

R. Formalmente il motivo sta nel fatto che l’ecografia non è una metodica di imaging che preveda l’utilizzo di radiazioni ionizzanti, sulle quali il radiologo ha per adesso piena e assoluta titolarità di gestione; che è poi lo stesso escamotage grazie al quale, per esempio,  qualche ortopedico poco prudente si prende la briga di mettere bocca su risonanze magnetiche articolari. La realtà dei fatti è peggiore: i radiologi hanno perso l’esclusiva dell’ecografia per l’inanità e la scarsa lungimiranza dei vecchi baroni universitari radiologi, i quali all’epoca hanno deciso che non valeva la pena di battersi perché la gestione dell’imaging rimanesse di competenza del professionista che sa usarla meglio, ossia il radiologo. E non si tratta di una mera questione di principio: il punto è che lo specialista dell’imaging, ossia il radiologo, può prendere in carico il paziente e portarlo dal sospetto clinico alla diagnosi usando tutte le metodiche a disposizione. Gli altri, purtroppo, questo non lo sanno e di conseguenza non lo possono fare.

D. Perché la PET non è di competenza della radiologia?

R. Perché è di competenza medico-nucleare, e non radiologica. Il problema in questo caso  nasce per le metodiche ibride, come la TC-PET, in cui il medico nucleare spesso viene lasciato solo a (o si arroga il diritto di) refertare un esame che ha anche una pesante componente radiologica.

D. Perche la RM, pur non utilizzando radiazioni ionizzanti, è di competenza della radiologia?

R. Perché il problema non sono le radiazioni ionizzanti, ma la gestione della diagnostica per immagini intesa nel suo complesso. Il compito del radiologo, nel terzo millennio, non è più saper usare una certa metodica piuttosto che un’altra, ma (come ho detto prima) accompagnare il paziente alla diagnosi finale utilizzando tutti gli strumenti di imaging a disposizione. Il che è possibile solo se si possiede una cultura clinica e dell’immagine a tutto tondo; e non lo è se invece, fatto il primo passo (esempio tipico, l’ecografia dell’internista), poi si è costretti a demandare il resto dell’iter diagnostico ad altri.

D. Imparare a leggere una TC è propedeutico per la lettura di una RM?

R. Assolutamente no: si tratta di metodiche sottese da basi di fisica completamente diverse. Il problema è invece sempre lo stesso: usarle in sinergia, perché con la TC puoi studiare alcune patologie e con la RM ne puoi studiare altre, o con entrambe puoi studiare aspetti diversi della stessa patologia. E la sinergia è radiologica, non di altre branche di specialità.

Raoul, grazie.

 

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