Il bambino straniero

di | 2 Ottobre 2015

Il bambino, lo chiameremo Alen ma non è questo il suo vero nome, ha solo quattro anni, quasi cinque. E’ biondo, minuto, ha un nome straniero perché mamma e papà sono albanesi e un po’ di mal di pancia: lo trovo disteso sul lettino della sala ecografica del Pronto Soccorso, con un bel sorriso luminoso sul viso.

La madre e il padre, giovanissimi tutti e due, lo guardano adoranti: certo, dico a me stesso, il primo figlio, il figlio maschio, quello nato nella terra di adozione. Naturale che lo guardino adoranti. Ma è quando chiedo loro i motivi dell’esame che capisco il perché.

Loro due, mamma e papà, non rispondono alla mia domanda e subito girano gli occhi al bimbo: e il bimbo comincia a parlare, in perfetto italiano, e a spiegarmi per filo e per segno tutti i suoi sintomi. Con una precisione, e una sintassi, impressionanti per una creatura di quell’età lì. Una creatura, per giunta, con due genitori che l’italiano lo parlano ancora maluccio.

Insomma, faccio il mio esame e mentre scruto nella pancina del bimbo lo vedo incuriosito dalle immagini che scorrono sullo schermo. Alen mi fa molte domande e sono domande pertinenti: perché sono in bianco e nero, per esempio, e se quello è il suo cuore che batte.

L’ecografia non mostra nessun problema, come spesso e per fortuna accade. Lascio che Alen si asciughi il gel sulla pancia e dico ai genitori che è tutto a posto. Loro, come risposta, sorridono e continuano a guardare il figlio con la stessa aria adorante che avevo scorto nei loro occhi all’ingresso nella sala ecografica e che, quando ti viene tributata, rende la vita così degna di essere vissuta.

Prima di uscire strappo una fermo immagine ecografico e la regalo ad Alen: lui mi da il cinque con la manina e per un istante immagino cosa potrebbe diventare da grande, questo spettacoloso bambino albanese. E lo immagino senza fatica già adulto, intento a realizzare tutti i più grandi progetti che gli saranno venuti in mente. Forse parte svantaggiato, il mio Alen, così minuto, così sveglio e intelligente, ma sono pronto a scommettere che ce la farà. Anzi, non ho alcun dubbio che lui ce la farà.

E come sarebbe bello se Alen conservasse nei suoi ricordi l’immagine di quel medico con gli occhiali che un giorno lontano gli ha scrutato nel pancino a caccia di magagne: magari grazie a quella piccola foto strappata che gli ho regalato, a fine esame, ricevendo in cambio un sorriso luminoso come il sole.

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