Il guardiano del faro

di | 29 Agosto 2014

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Ma c’è un’ultima riflessione estiva che mi piacerebbe condividere sul blog. Negli ultimi giorni abbiamo parlato di impegno, coraggio e responsabilità. Qualcuno (Peppone, e ne riparleremo) ha proposto soluzioni a vecchi problemi che sembrano ardite, ma certamente meno del puro e semplice non-far-nulla di questi ultimi anni.

Eppure tutti i terribili (e prevedibili) eventi che si stanno succedendo, crisi, deflazione, impoverimento, imbarbarimento collettivo degli usi e costumi, hanno una comune origine che si chiama, semplicemente, irresponsabilità. La quale, a sua volta, è probabilmente figlia del peggiore scetticismo.

Fateci caso, l’irresponsabilità alberga ovunque. E non sto parlando solo dell’ambito politico: sarebbe troppo facile, oggi come oggi, e non c’è gusto a sparare sulla croce rossa. Irresponsabilità è vivere nella menzogna di credere in qualcosa (Dio, la famiglia, il partito politico, la patria, l’Europa unita, le banche, quello che volete voi) e in realtà non credere in niente. Vivere accumulando inutile minutaglia, soldi, ville, terreni, auto sportive, pistole, cocaina, e consumando risorse come se il tempo a disposizione fosse infinito. Ma senza invece essere davvero convinti che ci sarà un domani in cui trasportare tutta questa inutile mercanzia.

Vivere in un giardino, insomma, e trasformarlo in una discarica. Fare qualunque sacrificio con la scusa del roseo futuro dei nostri figli (indebitarsi, lavorare ventisei ore al giorno, votare democrazia cristiana o il suo equivalente odierno, rubare, evadere il fisco, nominare primari ospedalieri inadeguati, trasportare valuta in banche svizzere, ammazzare il prossimo) e compromettere il loro futuro a causa delle stesse azioni con cui dichiariamo di volerlo salvare.

Per esempio: mi chiedo spesso, visto che sono nato non molto lontano dalla Terra dei Fuochi, cosa spinga un malavitoso a permettere che sotto le case dei suoi figli e dei suoi nipoti vengano sversati rifiuti tossici di ogni tipo e da ogni parte d’Europa; o cosa spinga un politico locale a permettere che a meno di un chilometro da casa sua venga innalzata una centrale elettrica di proporzioni smisurate e dal pari impatto ambientale. Ignoranza? Scarsa lungimiranza, da dilettante allo sbaraglio della politica? La bestialità di una società fondata sulla totale assenza di cultura?

Oppure, per venire al bel luogo in cui vivo ora, chi ha devastato negli anni le stupende campagne venete permettendo il profluvio di capannoni che adesso, con la crisi, rimangono per lo più inutilizzati, o coltiva vitigni di prosecco in qualunque centimetro quadrato di terreno disponibile, senza tener conto delle esigenze del territorio e di chi ci abita, cosa cercava e cosa cerca? Denaro facile? Esercizio fine a sé stesso del potere? O che altro?

C’è una sola risposta a queste domande, e risiede nell’evidenza che, appena al di là delle pulsioni biologiche mediate dai nostri ormoni, noi non crediamo a nulla: viviamo immersi nella inconsapevole e radicata certezza che non esisterà nessun domani, e che il prossimo tramonto a cui assisteremo sarà l’ultimo. Volenti o nolenti, non esistono altre spiegazioni alle follie che vediamo perpetrare in quasi tutti i luoghi del mondo, industrializzati o meno, occidentalizzati o meno. In noi abita un ateismo strutturale che non riguarda solo l’esistenza o meno di Dio, argomento ontologico sul quale può anche essere piacevole misurarci dialetticamente sotto l’ombrellone estivo, ma la vita stessa. Si tratta di un ateismo etico e filosofico che è insito in noi, è ormai parte strutturale del genoma che ci tramandiamo da generazioni intere, e contro il quale combattere è arduo se non addirittura inutile o impossibile.

E allora programmare il futuro diventa uno sport estremo: motivo per il quale il vostro affezionato blogger in questo periodo avrebbe solo voglia di una lunga pausa lavorativa, tipo un anno sabbatico, e riconvertirsi a un mestiere alternativo tipo guardiano del faro (ammesso che la figura professionale esista ancora).

Oppure, se avesse abbastanza soldi (che a qualcosa pure servono, come dimostrano i fatti), il vostro blogger farebbe come Giorgio Gaber. Il quale concluse la sua memorabile Io se fossi Dio con il seguente verso: E alla fine va a finire che io, se fossi Dio, mi ritirerei in campagna come ho fatto io.

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