Il vizietto

di | 21 Settembre 2011

Ieri sera, su un canale tematico Sky, ho assistito a un pezzo di dibattito pubblico Marrazzo-Storace sulla gestione politico-economica della regione Lazio. Marrazzo ha affermato senza mezzi termini, con l’esperienza che immagino gli derivi da anni di presidenza regionale, quanto segue: ciò che incide maggiormente sul bilancio regionale sono le spese sanitarie (credo sia un problema su scala nazionale, visto che nel Veneto la sanità incide per circa il 70% del budget annuo complessivo). E ha anche aggiunto che, in base a non meglio precisati studi di settore, il 50% circa degli esami strumentali sono inutili, dunque possono essere evitati con evidente risparmio economico.

Fin qui tutti d’accordo: ogni radiologo ha l’esatta percezione, se possibile anche più di Marrazzo e Storace, di quanti esami inutili vengano praticati ogni giorno nei reparti di Radiologia italiani. Certo, ogni tanto ai politici scappa l’imprecisione, dai loro discorsi traspare chiaramente il fatto che le informazioni sanitarie a disposizione vengono assemblate senza una precisa cognizione di causa. Si spera sempre che i loro collaboratori, in campo sanitario, siano persone che nella sanità ci lavorano o almeno ci hanno lavorato in passato.

Potrei anche avanzare l’ipotesi che va bene agire sull’organizzazione complessiva del sistema sanitario nazionale e regionale, le idee e le soluzioni possibili sono tante, ma che forse converrebbe lavorare anche sulla cultura sanitaria degli utenti di questo servizio: i quali, come è noto, vogliono tutto, lo vogliono subito e lo pretendono al massimo livello qualitativo possibile. Il punto chiave è che per ogni paziente sottoposto a una prestazione sanitaria superflua ce n’è un altro che invece di quella specifica prestazione ha reale bisogno ma per colpa del primo paziente dovrà attendere: questo è un altro discorso, e ne abbiamo già parlato altrove. Oggi invece vi propongo un caso clinico il cui iter diagnostico mi ha lasciato parecchio perplesso.

Quesito clinico allegato alla proposta di esame: grave ipertensione polmonare in donna di 74 anni. Esame proposto: TC torace, alla ricerca di una causa polmonare dell’ipertensione. Prima di tutte, ça va sans dire, l’embolia polmonare.

Obiezione postuma, a referto firmato, del radiologo: la TC era proprio necessaria? Era stato fatto un corretto inquadramento clinico della Paziente? Potevamo giungere a una conclusione diagnostica con il primo esame eseguito, ossia un radiogramma del torace? Proviamo a controllarlo insieme.

 

Intanto, ci sono tutti i segni radiologici di ipertensione venosa polmonare: i vasi polmonari, lo potete apprezzare meglio in quelli presi di infilata dal fascio radiogeno, hanno un diametro maggiore dei bronchi satelliti (valutate sempre questo rapporto reciproco, perché vasi e bronchi decorrono appaiati. Il vaso sanguigno radiograficamente appare bianco, il bronco invece nero: Felson chiamava questo aspetto, con il cinismo bieco che lo contraddistingueva, segno “del seminoma”. Provate a immaginare perché). Inoltre i margini ilari, ma anche dei vasi più periferici, non sono netti come al solito ma parecchio sfumati: qualcuno ha chiamato questo reperto, con la fantasia pletorica che era patrimonio dei padri della Radiologia, “ilo pastoso”. Noi soldatini di trincea, che invece miriamo al sodo, ci limitiamo a spiegare con parole povere perché ciò avvenga: la stasi venosa determina trasudazione interstiziale intorno a vasi e bronchi e nei setti interlobulari. Questa trasudazione rende il profilo ilare meno netto ed è responsabile del cosiddetto “peribronchial cuff”, ossia un bordo denso intorno alla trasparenza aerea del bronco preso di infilata: niente altro che la parete bronchiale edematosa.

E’ chiaro che in fase iniziale queste alterazioni radiografiche riguardano prevalentemente i vasi sanguigni della base polmonare, per questioni di pressione idrostatica trattate in questo post. Con l’incremento della pressione venosa polmonare vengono reclutati anche i vasi apicali, e il flusso si cefalizza.

Ma nella radiografia che vi ho proposto siamo già oltre la cefalizzazione del flusso. Quando la pressione venosa media polmonare supera la pressione osmotica (che ammonta a circa 20-25 mm Hg) il trasudato stravasa nell’interstizio e riempie i setti interlobulari. Alle basi del polmone, dove tutto ciò accade prima che agli apici, l’ispessimento edematoso dei setti interlobulari si traduce nelle strie di Kerley B: opacità lineari margino-costali bilaterali, che somigliano un po’ ai denti di un pettine. Cosa può accadere dopo? Lo stadio successivo è l’edema alveolare, ossia il trasudato inonda gli alveoli dando un pattern radiografico abbastanza tipico ma purtroppo comune ad altre patologie, il che implica la necessità di correlare il quadro radiografico con quello clinico; e questo è un altro discorso ancora.

Torniamo a noi. Abbiamo appurato che questo è un polmone che potremmo definire “da stasi”. E ci sono altri segni radiografici interessanti, questa volta cardiaci. Quello che appare subito evidente è che l’atrio sinistro è ingrandito. Nella radiografia originale, purtroppo un po’ meno dalla riproduzione che state guardando al PC, si intuisce il margine laterale dell’atrio sn (quello che in casi particolarmente gravi può debordare persino oltre il margine atriale destro, creando il segno del “doppio contorno atriale”): se misurate la distanza che va da questo bordo al profilo mediale del bronco sinistro, non dovete trovarla superiore a 7 cm. In questa Paziente, credetemi sulla parola perché non ho salvato un’immagine .jpg con la misura, è di 9.5 cm. Poi, la carena è allargata e il bronco sinistro ha un decorso quasi orizzontale: questo accade perché sotto la carena anatomicamente c’è proprio l’atrio sinistro, e se l’atrio sinistro si ingrandisce disloca le strutture che ha subito sopra. Sfonda il tetto, insomma, se mi passate la greve similitudine. Altri segni ancora sarebbero apprezzabili nel radiogramma in proiezione laterale, ma adesso che sto scrivendo il post mi accorgo di non aver salvato l’immagine: vuol dire che vi arrangerete da soli, in calce come al solito metterò un po’ di bibliografia essenziale.

Ricapitoliamo: ipertensione venosa polmonare, atrio sinistro ingrandito. Di contro: il tronco comune dell’arteria polmonare, che voi sapete corrispondere radiograficamente al secondo arco cardiaco sinistro, non è molto ingrandito. A differenza dell’aorta, il cui arco oltre a essere sede di ateromasia calcifica mostra anche un calibro aumentato.

Invece il cuore, complessivamente, come vi sembra? Basandoci sul semplice rapporto cardio-toracico (quello calcolabile fra il maggior asse cardiaco e il maggior asse della gabbia costale), possiamo affermare, a spanne, che il cuore è ingrandito. Certo, non mi fiderei del rapporto cardio-toracico in donne gravide o in anziani con pectum incavatum, per esempio; e in genere, visto che sono scettico per natura, di quel rapporto non mi fido quasi mai a prescindere. Ma tutto sommato oggi possiamo fare un’eccezione e sbilanciarci: il cuore è ingrandito (e poi la vecchina ha 74 anni e l’ipertensione venosa polmonare, dunque andiamo sul sicuro).

 

Il prossimo passo è capire se c’è un ventricolo ingrandito, e quale: ricordando però che se osserviamo  chiari segni di ingrandimento di un ventricolo è difficile, molto difficile dare giudizi anche sull’altro. Però proviamoci: la punta del cuore, come è evidente, guarda in basso. I saggi di ogni tempo ci insegnano che il vettore di ingrandimento del ventricolo sinistro è diretto a sinistra e in basso, quello del ventricolo destro sempre a sinistra ma mai in basso, piuttosto in alto (il vecchio segno del cuore “a scarpa” dell’ipertrofia ventricolare destra conclamata). Ma c’è di più. Fatta la valutazione morfologica iniziale, la strada migliore resta sempre guardare il vaso a cui il ventricolo fa riferimento per l’eiezione del sangue in essi contenuto: l’arteria polmonare per il ventricolo destro, l’aorta per il ventricolo sinistro. Nel nostro caso l’arteria polmonare è quasi normale, l’aorta no: è dunque lecito pensare che il ventricolo sinistro sia ingrandito, sebbene la morfologia con punta in basso non sia così esagerata da far pensare a un ingrandimento enorme della camera cardiaca. Quanto al ventricolo destro, possiamo inferirne la normalità; almeno nei limiti consentiti dalla presenza di una bella ipertensione polmonare che prima o poi, natura permettendo, si ripercuoterà anche sulle camere cardiache di destra.

A tal proposito, un piccolo suggerimento. Una prima valutazione dell’aortica, rapida ma tutto sommato non più grossolana del rapporto cardio-toracico rispetto ai volumi cardiaci, è possibile farla nel seguente modo.  Il primo arco dell’ombra cardio-peduncolare, a sinistra, è anche chiamato bottone aortico: eufemismo orribile e comunemente utilizzato per denominare l’arco dell’aorta toracica. Il quale ha un decorso obliquo in senso antero-posteriore e medio-laterale, dunque nella proiezione A-P del torace standard si vede come un ovale opaco più o meno ben definito.

 

Misurate quindi la distanza tra il margine sinistro della colonna aerea tracheale e il margine esterno del bottone aortico (argh): questa distanza, nel normale, non deve essere superiore a 35 mm. Se lo è, ponetevi il sospetto di problemi aortici legati a incremento pressorio arterioso, incremento del volume ematico o, specialmente nel paziente anziano, alterazioni involutive della parete aortica legate all’età (leggi: aterosclerosi).

Adesso riassumiamo ancora una volta: ipertensione venosa polmonare, atrio sinistro molto ingrandito, ventricolo sinistro poco ingrandito, ventricolo destro e tronco polmonare comune praticamente normali, aorta deformata e ateromasica. Sarebbe l’ora di riguardarsi la TC con occhio critico, e capire se le nostre supposizioni sono esatte o meno. Ma noi impavidi, che non ci accontentiamo mai del piatto caldo già servito in tavola, andiamo prima a vedere un radiogramma del torace di quattro anni prima, quando la signora aveva solo 71 anni.

E cosa troviamo? Tutto quello che abbiamo descritto nel radiogramma ultimo, salvo i segni dello scompenso in atto, ossia dell’edema interstiziale. Quattro anni fa il sistema cardiovascolare era in equilibrio precario, ma in equilibrio. Oggi no. E quattro anni fa, senza versamento pleurico, si vedeva anche meglio l’ipertrofia ventricolare sinistra.

Senza ulteriori indugi, passiamo alla TC.

Dove viene confermata, e alla grande direi, la dilatazione atriale sinistra. In particolare, la riformattazione coronale ci fa capire come mai in questi casi la carena si allarghi e il bronco principale sinistro assuma decorso orizzontale: sempre per la metafora di prima, la carena è parte del tetto dell’atrio sinistro.

Inoltre sono meglio evidenti i rapporti fra parete posteriore dell’atrio sinistro ed esofago: lo so che molti giovani specializzandi ne hanno letto solo sui libri di storia della Radiologia, ma un giorno i Radiologi esprimevano perizia in campo toracico anche con il cosiddetto Rx torace in 4 proiezioni, dopo aver ingurgitato pasta baritata ad alta densità. In caso di ipertrofia o dilatazione atriale sinistra, l’esofago baritato riceve una curva dolce posteriore che, ovviamente, la riformattazione parasagittale TC mostra molto meglio (in più grazie alla TC si vede chiaramente, anche se non vi mostro l’immagine corrispondente, che il ventricolo destro è normale, per l’età della Paziente, mentre il sinistro è solo moderatamente ipertrofico).

In più: si dimostra che non v’è traccia di embolia polmonare (ma il sospetto c’era già venuto guardando la radiografia del torace; e comunque noi Radiologi partiamo prevenuti, parecchio prevenuti, verso le diagnosi cliniche di embolia polmonare. Che hanno, empiricamente, un tasso di positività calcolabile in una su quindici).

 

Dulcis in fundo, con la riformattazione MIP (a strato grosso, come va mangiato il prosciutto crudo per goderselo interamente) tutto quello che abbiamo detto prima sul circolo polmonare è immediatamente comprensibile. L’occhio fisico a volte vede meglio dell’occhio della mente, e sicuramente chiarisce concetti astrusi.

 

Ah, dimenticavo: la TC permette anche di escludere, con ragionevole, certezza cause parenchimali di ipertensione polmonare.

Morale della favola: a questo punto è possibile sostenere l’ipotesi che il cuore sia affetto da una patologia valvolare mitralica, e che il vizietto in questione sia l’insufficienza. Nell’insufficienza mitralica la valvola non si chiude in modo adeguato ed è come un tappo di bottiglia non ermetico: quindi durante la sistole il sangue contenuto nel ventricolo sinistro in parte va nella direzione giusta, ossia l’aorta ascendente, e in parte rigurgita all’indietro, ossia verso l’atrio sinistro. In buona sostanza, durante la sistole parte del sangue rifluisce nell’atrio sinistro e lo dilata, a volte riuscendo persino a invertire il flusso nelle vene polmonari (da cui, con il tempo, l’ipertensione venosa polmonare). Il sangue refluito nell’atrio sinistro, più quello che arriva normalmente dalle vene polmonari con il normale circolo, nella diastole riempie il ventricolo sinistro: il quale però deve dilatarsi oltre misura per contenere una massa ematica che è quella normalmente afferente dalle vene polmonari più la quota refluita in atrio. La pressione atriale sinistra, e di conseguenza quella delle vene polmonari, sono di conseguenza funzione di due fattori: l’entità del reflusso ventricolo-atriale e la compliance atriale. Il primo fattore è intuitivo: più sangue refluisce in atrio, più aumenta la sua pressione interna. Il secondo fattore è meno intuitivo: ma è chiaro che più la struttura dell’atrio sinistro si avvicina alla normalità (volume piccolo, pareti atriali spesse) più la pressione atriale, a parità di reflusso, sarà maggiore. Il problema dell’insuffucienza mitralica, come di tutti i vizi valvolari acquisiti, è come il cuore compensa questa situazione patologica. Nella Paziente di cui stiamo parlando, che ha sviluppato una condizione cronica (ricordatevi della radiografia toracica di 4 anni fa), una gittata sistolica normale può essere garantita solo se il ventricolo sinistro pompa di più rispetto al normale, ossia se diventa ipertrofico: nell’insufficienza mitralica, dove a ogni diastole il ventricolo viene letteralmente inondato di sangue, l’ipertrofia non può che essere eccentrica, ossia associata a una certa quota di dilatazione. Viceversa l’atrio sinistro, con il tempo, si dilata e vede le pareti assottigliarsi (aumentando la cosiddetta compliance): che poi è il meccanismo grazie al quale la pressione atriale non supera per lungo tempo il livello di guardia e la stasi polmonare, quella seria, può essere evitata per lungo tempo. La nostra Paziente, per esempio, dall’ultimo controllo radiografico toracico del 2007 ci ha messo la bellezza di 4 anni per scompensarsi; e nemmeno del tutto, perché al momento della diagnosi in acuzie c’era edema interstiziale ma non alveolare. Nel complesso, allora, si può affermare che l’insufficienza valvolare mitralica cronica si compensa grazie alla dilatazione delle camere di sinistra, prima l’atrio e poi il ventricolo: il fatto che il ventricolo sinistro non sia ancora apprezzabilmente dilatato fa propendere per una gravità del difetto valvolare medio-grave (l’atrio è molto dilatato e ha pareti sottili, e la Paziente si scompensa) ma non gravissimo (il ventricolo è moderatamente ipertrofico, ma non dilatato).

Perché la morfologia di quel cuore non può essere effetto di una stenosi mitralica? Semplice: nella stenosi mitralica si riduce il flusso ematico tra atrio e ventricolo sinistro, la pressione atriale sinistra aumenta molto più in fretta e più in fretta si ripercuote sul circolo polmonare e sulle camere cardiache di destra. Con due conseguenze: ventricolo sinistro normale e ventricolo destro ingrandito, ossia proprio il contrario del cuore che stiamo esaminando (se, ovviamente, il vizio valvolare è puro e non si associa anche insufficienza). Poi, di non secondaria importanza, nella stenosi mitralica medio-grave compare abbastanza precocemente anche ipertensione polmonare arteriosa: dapprima come semplice trasmissione retrograda dell’ipertensione atriale sinistra, poi per aumento delle resistenze a livello arteriolare. Con il tempo, e la conclamazione della malattia, otterremo prima il classico quadro di riduzione del calibro dei rami segmentari inferiori (con disegno vascolare, questa volta si che possiamo usare il termine, rarefatto),  e poi l’ectasia del tronco comune e delle due arterie polmonari. Mi dispiace non potervi mostrare immagini mie che documentino quanto dico, ma le ultime radiografie così esplicative le ho viste a Ferrara, durante la specialità, e all’epoca non avevamo a disposizione macchine fotografiche digitali per immortalarle all’istante. Ah, quasi dimenticavo: nella stenosi mitralica l’arco aortico è piccolo perché il ventricolo, ovviamente, ci pompa dentro meno meno sangue e quindi lo sollecita in misura minore (dando origine al reperto che il professor Scutellari, sempre all’epoca della specialità ferrarese, chiamava con molta enfasi  “ipoplasia del bottone aortico”).

La Paziente, ovviamente, è anche andata in consulenza cardiologica: dove viene confermata la sostanziale validità delle nostre considerazioni meramente radiografiche (mi scuso per la cattiva qualità della foto, ma le ho fatte con lo smartphone e c’era luce artificiale).

 

Dice il cardiologo: l’atrio sinistro è gravemente dilatato. Il ventricolo sinistro ha un mix di lieve ipertrofia e lieve dilatazione. Il ventricolo destro è regolare. Insomma, come volevasi dimostrare.

Con una piccola aggiunta, però: che l’ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro non è solo conseguenza dell’insufficienza mitralica ma anche di un lieve grado di insufficienza aortica: che, essendo per l’appunto lieve, possiamo senz’altro imputare al quadro degenerativo aortico età-dipendente (la distensione della parete aortica prossimale sfianca, letteralmente, la valvola aortica e la rende incontinente) e non ad altre patologie. Quindi il povero ventricolo sinistro della Paziente è attaccato su due fronti: dal davanti e da dietro. Per fortuna che dal davanti l’attacco è poco aggressivo, ma comunque possiamo dedurne che il ventricolo sinistro della signora tenga botta di suo.

Ma qualcosa, ahimè, durante il ragionamento ci è sfuggita: e invece ci si poteva arrivare. Se riguardate con attenzione la prima radiografia, quella dell’acuzie, viene il sospetto che anche il secondo arco destro, quello dell’atrio, presenti una convessità accentuata. In genere i Radiologi non guardano in quella direzione perché l’atrio destro non è la chiave di volta di nessun sistema di pensiero cardio-radiologico. Però se a questo aggiungete il corrispettivo TC,

 

dove il sospetto di dilatazione atriale diventa evidenza, e la riformattazione coronale,

 

dove è invece visibile rigurgito retrogrado di contrasto iodato nel sistema venoso cava inferiore-sovra-epatiche, può venire il sospetto che un vizietto valvolare si alligni anche a livello della tricuspide. E infatti il cardiologo segnala una moderata insufficienza tricuspidale, il che vuol dire che durante la sistole ventricolare destra parte del sangue refluisce in atrio, e lo ingorga. L’atrio destro si dilatata, la pressione al suo interno aumenta e il mezzo di contrasto, che all’atrio destro in genere arriva tramite la vena cava superiore (se al Paziente avete preso la vena cubitale), refluisce a sua volta all’indietro verso la vena cava inferiore, e da questa alle vene sovra-epatiche.

Puff. Questo è quanto. E il succo di tutto questo discorso è che, in buona sostanza, Marrazzo e Storace hanno ragione ad affermare che molti, troppi esami radiologici sono inutili: quello che vi ho appena mostrato è un caso standard in cui, avendo visitato adeguatamente la Paziente e conoscendone la storia clinica, non solo era evitabile la TC ma anche la visita cardiologica (comprendente l’ecocardiografia). E’ tutto scritto lì, nero su bianco: nei suoni auscultabili con il fonendoscopio e nelle informazioni fornite dalla radiografia del torace.

Il problema sta nell’attuale assetto culturale del medico, che è molto meno clinico di trent’anni fa, e nel poco tempo a disposizione: per cui l’internista ha vita molto più facile a demandare la diagnosi precisa a cardiologo e radiologo; e il radiologo ha vita molto più facile a eseguire una TC in seconda battuta che a interpretare i fini ma sostanziali segni di una radiografia standard del torace. Pazienza se le liste di attesa si allungano, e i Pazienti vengono irradiati per nulla.

Insomma, mi viene il dubbio che siamo diventati tutti un po’ più cialtroni, noi medici; ma questo in pubblico non lo rivelerò mai. Neanche sotto tortura.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

1)    Webb, Higgins. Imaging del torace. Verduci Editore, 2006.

2)    Pistolesi, Thiene, Casolo. L’imaging diagnostic del cuore. Ed. Libreria Cortina Verona, 1985.

3)    Goodman. Principi di Radiologia del torace. Verduci Editore, 2000.

4)    Paré, Fraser. Diagnosi delle malattie del torace. Verduci Editore, 1990.

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