In questa decadenza le persone non hanno chance

di | 24 Febbraio 2019

 

Il bambino-portiere avrà 11, 12 anni.

Ha un completo da calcio molto nuovo, molto nero, con i calzini molto abbinati alla maglietta e i guanti verdi e molto fluorescenti.

Sta in porta e e tra i pali si muove come un vero portiere di serie A: i saltelli giusti, il rimprovero giusto al difensore che lascia smarcato l’attaccante. Rinvia la palla nel modo giusto, calibrando l’apertura del braccio e compiacendosi alquanto della bella parabola prodotta. Quando abbranca il pallone lo stringe al petto nel modo giusto, studia con lo sguardo giusto la posizione di compagni e avversari e poi lo fa rimbalzare due o tre volte nel modo giusto, prima di rinviarlo.

Il bambino-portiere, insomma, fa tutto nel modo giusto tranne una cosa: il portiere.

Non ha nessun controllo dello spazio dentro e fuori dalla porta, nessuno glielo ha insegnato e lui, ovviamente, non si è mai posto da solo il problema. Non blocca mai la palla, e quando la respinge lo fa con le mani aperte esponendosi a slogature dei polsi che ricorderà per sempre con grande pianto e stridor di denti. Ferma i rasoterra con  le gambe divaricate, piegandosi a novanta gradi. Si accartoccia sui palloni quando non c’è motivo e al tempo stesso non è capace di tuffarsi, è del tutto privo degli istinti elementari che sono il nerbo del portiere di razza.

Il bambino-portiere però è una metafora perfetta di come gira il mondo: ha imparato alla perfezione la forma, magari guardando su Sky le partite della serie A o i tutorial su YouTube, ma non ha alcuna idea della sostanza di cui è fatto un vero portiere.

Insomma, ha compreso bene i fondamentali dell’Italia-ai-tempi-della-crisi: apparire è più vantaggioso che essere, tanto più che oggi come oggi quasi nessuno, in virtù del crescente analfabetismo funzionale, è in grado di accorgersi della differenza. E coltiva la certezza naturale che, nel caso in cui le cose dovessero mettersi veramente male, per esempio prendendo qualche gol di troppo, saprà trovare una valida giustificazione: il tifo contro, l’allenatore incapace, i compagni di squadra che hanno giocato male, magari dicendo peste e corna di lui, sicuramente invidiosi di quanto sia bravo come portiere.

Anche perché, a conti fatti, in un mondo calcistico nazionale in cui non si formano più portieri e quindi si è costretti a importarli dall’estero, sa che non farà nessuna fatica a trovare una nuova squadra che gli paghi lo stipendio.


La canzone consigliata per la lettura del post è “La decadenza”, di Ivano Fossati, tratta dall’album “Decadancing” del 2011. Nemmeno a farlo apposta la stavo proprio ascoltando mentre mio figlio, in un campo parrocchiale, ammazzava il pomeriggio giocando a pallone; e il portiere della squadra avversaria era proprio quel ragazzino di cui, assai stronzamente, lo ammetto, tesso le laudi nel mio racconto.

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