L’educazione del medico (2)

di | 26 Gennaio 2006

Ma poi, a dirla tutta, c’è anche l’altra faccia della medaglia: quello che rende assolutamente unico il mio lavoro e fa in modo che, se mai dovessi rinascere, lo sceglierei ancora.
Sto parlando dei miei colleghi pneumologi, otorini, urologi, oncologi, chirurghi pediatrici, chirurghi toracici, chirurghi vascolari eccetera, gente con cui lavoro gomito a gomito ogni santo giorno che il padreterno manda sulla terra, di mattina o in piena notte, in tranquillità di dialogo o in condizioni di emergenza, e che fa del confronto quotidiano la propria arma in più.
Certo, nessuno è perfetto e la medicina non è una scienza esatta, checchè ne dicano i programmi di fantamedicina della domenica sera: l’internista può sbagliare la terapia, il chirurgo sbagliare l’intervento, il radiologo sbagliare il referto. Però, se si lavora insieme, i margini di errore si riducono: perchè c’è sempre modo di discutere una diagnosi o una terapia per la seconda volta, il tempo di ripensarci e di parlarne a voce con un collega orientato. In questo modo i confini fra le specialità si sfumano, come è giusto che sia, senza mai cancellarsi. Ognuno ha il suo ramo di competenza ed è pronto a dividerlo con gli altri.
Perchè in fondo, e cerchiamo di non dimenticarcelo mai, dall’altra parte del vetro c’è un ammalato, o comunque qualcuno che si macera nel dubbio di esserlo o meno. Per questo non è giusto correre rischi, commettere errori di presunzione: la medicina, oggi, è un campo di conoscenze talmente vasto e spezzettato che o si collabora quotidianamente o si finisce culturalmente isolati a fare gli imperatori del nulla.

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