La formula negativa

di | 6 Gennaio 2014

20140106-113455.jpg

Ripropongo di seguito il testo di un post che è stato cancellato in seguito a operazioni di manutenzione del blog, e che riguardava la refertazione ideale di un radiogramma del torace: chimera che in molti hanno cercato di catturare, ma senza grande successo.

Questo è un post per soli radiologi, ai quali voglio porre una questione di sostanza, ma semplice semplice.

Premessa: qualche anno fa (2009) un vecchio Consiglio Direttivo della Sezione SIRM di Radiologia Toracica si diede l’arduo compito di elaborare una formula negativa standard per gli esami radiografici e TC del torace. Lo scopo, lodevole, era quello di proporre ai Soci un modello comune di refertazione: d’altro canto, se non cominci a omogeneizzare i referti negativi è impensabile parlare di modelli standard per quelli in cui la patologia invece c’è.

A quanto ne so io fu un parto difficile: e, mi permetto umilmente di aggiungere dal basso della mia incompetenza in materia, anche distocico. Le formule negative erano complete in ogni loro parte, ogni singola componente del torace veniva sviscerata accuratamente: però, ahimè, dal mio punto di vista erano referti troppo lunghi e articolati. Vi riporto di seguito quanto emerse dal conclave.

Referto negativo della radiografia del torace: “Non si repertano alterazioni polmonari, ilari, mediastiniche o pleuriche. Vascolarizzazione polmonare regolarmente distribuita. Profilo cardiaco normale. Normale configurazione della parete toracica”.

Referto negativo della TC: “Non lesioni del parenchima polmonare. Normali le vie aeree prossimali. Non lesioni delle strutture mediastiniche. Non linfoadenomegalie. Non alterazioni pleuriche”.

Il clinico, quando ci invia una richiesta di studio per una sospetta patologia toracica, ci chiede in buona sostanza due sole cose: di capirci qualcosa, intanto, e poi di comunicarglielo in modo intelligibile. Se noi riusciamo a intorcolarci già di fronte al referto negativo, il che succede abitualmente anche grazie alle svariate formule dubitative che contengono il termine “rinforzo”, figuriamoci cosa potrà accadere quando dovremo misurarci con patologie polmonari più o meno complesse.

E allora la mia domanda, che ho intenzione di girare all’attuale CD della Sezione: qual’è, secondo voi, la formula negativa ideale per un radiogramma o una TC del torace? Cosa va obbligatoriamente messo e cosa può essere invece omesso?

Aspetto risposte numerose, questa volta non siate reticenti.

Bene, alla fine ho avuto le risposte che cercavo anche se molte sono arrivate per e-mail e non tra i commenti sul post (ancora non riesco a convincere lo zoccolo duro di internauti del blog che ad allargare il numero dei commenti pubblici ci guadagna la qualità della discussione, ma pazienza). Concentriamoci dunque sulle considerazioni che ho archiviato, giustamente quelle di chi ha accettato il confronto pubblico: sulle quali farò qualche osservazione personale che, come potete immaginare, non ha assolutamente carattere di dogma ma è solo frutto del mio personale modo di ragionare. Quello che sosterrò è opinabile, dunque se non doveste essere d’accordo con me ditelo pure liberamente (però dopo spiegatemi anche il perché, per favore).

Comincia Peppone parlando di TC: “Non significative alterazioni TDM a carico del parenchima polmonare bilateralmente. Non linfonodi significativamente aumentati di volume. Non versamento pleurico né pericardico“. Inutile dirvi quale sia per me il punto debole del suo referto: chi mi conosce lo sa, io sono convinto che aggettivi e avverbi andrebbero banditi da qualsiasi referto radiologico perché, come scrivevo qui, non forniscono valutazioni oggettive, misurabili e riproducibili e danno al clinico la sensazione di una insicurezza di fondo che magari il radiologo in questione nemmeno ha. Senza contare che, come sosteneva uno dei miei maestri (il professor Pier Nuccio Scutellari, of course), il termine significativo ha una valenza statistica e quindi noi nei referti lo usiamo alla carlona. Tale e quale al discretamente, d’altronde, che per noi radiologi è il più comune e misero tentativo di quantificare un ipotetico valore medio che esiste solo nella nostra testa, perché in linguaggio matematico (e secondo il vocabolario della lingua italiana) discreto vuol dire ben altra cosa (vedi di nuovo qui). Ma andiamo oltre la semantica e scendiamo nella fossa dei coccodrilli della semeiotica: il volume non è l’unico elemento anomalo identificabile in un linfonodo. E se ci fosse un linfonodo regolare per dimensioni ma con necrosi interna o con altre caratteristiche di patologia? Per un referto negativo quella formula, secondo me, non è abbastanza precisa (non sarebbe meglio scrivere “non linfoadenopatie ilo-mediastiniche”? Al tempo stesso questa frase fornisce l’idea dell’assenza di patologia e definisce imprescindibili limiti topografici alle nostre elucubrazioni). Così come non è bello l’acronimo TDM, che sta per tomodensitometrico: siccome in TC si ragiona per densità è meglio scrivere densitometriche e basta, perché gli acronimi criptici è meglio lasciarli al sollazzo dei clinici, o addirittura non aggiungere nulla al termine alterazioni perché è sottinteso che stiamo ragionando in termini di densità? Peppone, dimmi cosa ne pensi.

Giosi invece propone la formula in uso nel suo reparto per l’Rx torace standard, che è l’argomento che mi sta più a cuore: “Non lesioni pleuropolmonari in atto. Fascio cardiovascolare nei limiti”. E qui si pone uno dei più grossi dilemmi, almeno per il sottoscritto. Il termine in atto è un retaggio di tempi antichi, quando la popolazione italiana era vessata dalla tubercolosi ed era quindi di fondamentale importanza riconoscere i segni di attività (appunto) della malattia: nasce da lì, non a caso, anche il termine focolaio che tuttora ritroviamo nella quotidiana pratica di refertazione. Al punto che la formula negativa più comune in uso sul territorio nazionale, pare, è la seguente: non focolai pleuroparenchimali in atto (e in genere è riferita all’assenza di patologia infettiva acuta). Il problema è semplice, ed è al tempo stesso semantico e ontologico: se specifichiamo che una patologia è in atto sottintendiamo che ci sono patologie polmonari visibili radiograficamente eppure non in atto. Ma ne siamo proprio sicuri? Una patologia diffusa polmonare (sarcoidosi, enfisema, fibrosi, NSIP, insomma quello che volete), che nel radiogramma toracico mediamente si riconosce bene, è o non è in atto? Certo che lo è, sebbene il decorso della patologia sia più lento e progressivo di una broncopolmonite acuta. Ne consegue che la modalità refertatoria in atto sarebbe da cancellare: in quanto imprecisa, certo, ma anche perché è frutto di uno dei tanti retaggi scolastici dei quali prima o poi, con grande scorno dei nostri padri, dovremo liberarci. Rimane infine la questione del fascio cardiovascolare: che noi radiologi, radiograficamente, non vediamo scomposto nelle suoi singoli componenti ma come immagine di sommazione dei medesimi. Da cui il dubbio: il termine fascio, che è un termine prettamente anatomico (salvo riferimenti storici assai poco virtuosi), può essere adattato a un radiogramma del torace?

Nel ridare la palla a Giosi, ci aiuta a rispondere alla domanda Matteo, il quale propone: “Polmoni normoespansi e normotrasparenti. Immagine cardio-ilo-mediastinica e aorta toracica regolari”. Cuore, mediastino e ilo polmonare, su in radiogramma del torace, compongono di fatto una opacità unica che le somma tutte; al punto che quasi sempre è indispensabile la proiezione laterale per definire la topografia di una eventuale lesione. A parte la domanda ovvia circa la separazione dell’aorta dall’immagine cardio-ilo-mediastinica (ma l’aorta non è una delle componenti del mediastino?), qui la questione è solo semantica e riguarda la scelta del termine da condividere: immagine, ombra o silhouette? In realtà tutte vogliono dire la stessa cosa: anche se il mio Maestro, sempre lui, diceva che l’esame radiografico standard del torace si compone di due proiezioni, postero-anteriore e laterale, e quindi è di fatto possibile estrapolare topograficamente le singole componenti e le relative situazioni patologiche. Infatti lui usava, laconicamente: “Cuore e mediastino nei limiti”; e io, che da specializzando ero un rompipalle di prima e un contestatore seriale di formule refertatorie, su questo punto mi sono lungamente impegnato senza mai trovare soluzioni che mi sembrassero più adeguate alla bisogna. Matteo però affonda il coltello in uno dei peggiori vizi di forma radiologica: il neologismo. Normoespansi e normotrasparenti, non me ne voglia Matteo, sono due esempi di neologismo radiologico: dicono tutto (il polmone non ha problemi, né strutturali né funzionali), ma lo dicono con una formula orribile a leggersi. Certo, Matteo potrebbe obiettare a ragione che il referto radiologico deve essere vergato in linguaggio tecnico e non in dolce stil novo: ma comunque se ne può parlare, magari in presenza del clinico di riferimento, perché secondo me deve pur esistere il modo di aggirare brutture stilistiche del genere.

Con Duccio ci avviciniamo alla sintesi mirabile che io avrei in mente: “Non (si rilevano) alterazioni pleuro-polmonari in atto. Cuore e piccolo circolo nei limiti”. A parte quel “in atto” di cui ho già discusso in precedenza, e il fatto che manchi un riferimento anche minimo al mediastino, Duccio è sintetico (virtù essenziale per una formula negativa) ed è l’unico a parlare del piccolo circolo, che del radiogramma toracico è la terza colonna portante insieme a mediastino e polmone. Ricordatelo sempre: quasi tutti i rinforzi del disegno polmonare che vengono riportati sui referti radiologici sono solo la normale proiezione del piccolo circolo, più o meno congesto, e che se imparassimo a chiamare per nome e cognome la circolazione polmonare il sogno di estinguere dalla faccia della terra i vari e assurdi rinforzi potrebbe finalmente diventare realtà. Rimane solo un piccolo dubbio: scrivere in un referto che non ci sono alterazioni pleuro-polmonari corrisponde sempre e comunque a scrivere che non ci sono segni radiografici di alterazioni pleuro-polmonari? Certo, parlando di un radiogramma del torace si sarebbe propensi a credere che le due modalità di refertazione siano del tutto sovrapponibili e che si tratti solo di sottigliezze semantiche: ma ne siamo proprio sicuri? E un giudice, nel caso sventurato in cui si finisca nell’aula di un tribunale per un referto contestato, come la penserebbe?

Ma è solo Makkox a toccare il nervo scoperto, e per due motivi. Intanto, è il solo che fa precedere il referto dalla tecnica di esame: se viene eseguita una sola proiezione perché il paziente non è collaborante, bisogna specificare la posizione del paziente stesso; e se nel controllo successivo il tecnico decide di modificarne la postura, anche questa modifica deve essere segnalata (pensate solo a come può cambiare l’aspetto di un versamento pleurico se il paziente è in piedi, semisupino o supino. Altrimenti il clinico presuntuoso può decidere autonomamente che il versamento sia aumentato, mentre abbiamo solo messo in piedi un paziente che sta meglio). E poi, con buona pace di Molly, Makkox fa una proposta rivoluzionaria ma sacrosanta: scrivere negativo, riferito qualunque genere di reperto di normalità radiologica, non vuole affatto significare che il radiologo ha studiato distrattamente l’esame; ma solo che in quell’esame non ci sono anomalie. Con questa modalità di semplificazione sarebbe tutto molto più semplice: per il radiologo refertare e per il clinico recepire l’informazione.

Per cui ancora una volta passo la palla a voialtri. La discussione continua, poi porteremo i lavori all’attenzione del Presidente della Sezione di Radiologia Toracica.

Lascia un commento