La Qualità e i costi della politica

di | 13 Novembre 2011

Io guardo poca televisione, e leggo pochissimi giornali. In genere mi informo su Internet: convinto che anche lì le notizie non circolino libere, al pari della tivù, ma le idee almeno si (come in tivù invece non accade).

Quando sono di guardia notturna e arrivo in ospedale, intorno alle venti, guardo però qualche spezzone di telegiornale. Qualche sera fa mi sono imbattuto in 8 1/2, il programma di approfondimento serale di Lilli Gruber: fra gli altri era ospite un professore universitario tedesco, di cui chiaramente adesso non ricordo il nome, a quanto pare esperto di cose italiane. Il quale, alla fatidica, scontata e anche un po’ tendenziosa domanda della Lillona nazionale su cosa ne pensasse dell’esigenza di ridurre i costi della politica, ha risposto con teutonica laconicità: Il problema della politica italiana non è ridurne i costi, ma migliorarne la qualità.

La Lillona nazionale, che evidentemente voleva andare a parare altrove, non ha abboccato all’amo e ha glissato su ulteriori commenti alla risposta secca dell’alemanno; ma la risposta del professore tedesco è stata davvero illuminante, e avrebbe meritato maggiore attenzione. Perché in questo paese, al tempo della crisi, si continua a ragionare sui tagli economici come se il problema fosse interamente racchiuso nel concetto di quantità: quantità di spesa sanitaria, militare, per l’istruzione, eccetera.

E invece no, lui ha ragione e l’intero punto di vista andrebbe ribaltato. Perché a prescindere da ulteriori considerazioni su cosa sta accadendo in paesi critici come l’Italia e la Grecia, dove le redini vengono afferrate da personaggi che hanno troppi trascorsi non cristallini con ambienti bancari (“Gli stati salvano le banche, le banche fanno fallire gli stati e alla guida degli stati vanno i capi delle banche che hanno fatto fallire gli stati… voi non sentite puzza di cetriolo nell’aria?” chiosava sornione Crozza, nell’ultima puntata del suo programma satirico, in onda subito dopo quello della Gruber), la salvezza della barca nel fortunale in questo momento sta tutta nella qualità di chi ci naviga dentro.

La frase del prefessore tedesco dovrebbero scolpirla sui muri del Parlamento: perché è inutile tagliare i costi della politica se a governare restano gli stessi scalzacani che l’hanno fatto negli ultimi venti o trent’anni, da una parte e dall’altra. E perché si presume che una politica di qualità, fra le prime cose, faccia spontaneamente il passo che tutti oggi invocano a gran voce: ridursi i costi da sola.

E lo stesso concetto si può applicare a tutti gli altri campi della cosa pubblica: anche l’istruzione, per dire, o la sanità, dove lavoro io, entrambe preda di tagli indiscriminati perché le forbici dell’economia sono in mano a persone che in un ospedale pubblico o in una scuola pubblica forse non ci sono mai neanche entrati. Invece l’obiettivo andrebbe modificato: elevando la qualità professionale dei professori e dei medici e di chi queste categorie professionali deve dirigerle, appare evidente che i costi si razionalizzerebbero da soli. I buchi di bilancio si creano non (solo) per le leggi assurde che banche e mercati hanno creato negli ultimi decenni, ma per un fondo di stolida incompetenza che oggi, con tutto quello che sta accadendo intorno a noi, non può più essere negato da nessuno, qualunque sia lo scranno da cui si erge per parlare.

E, suvvia, adesso  non è più tempo di parlare. Se fossimo in un paese normale, le forze sane verrebbero selezionate in modo naturale, secondo le competenze di ciascuno. Ma siamo in un paese anomalo: dunque aspettatevi di tutto, persino che il prossimo ministro dell’economia sia laureato in scienze politiche o che il primario chirurgo del vostro ospedale di riferimento non sia capace di operare una colecisti.

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