L’uomo che sussurrava ai treni

di | 26 Giugno 2015

Avete mai fatto caso a come sono tristi gli occhi della gente che viaggia? A come le stazioni ferroviarie siano piene di persone con gli occhi che trasudano pura tristezza? Eppure non può essere il viaggio a incupirle: il viaggio è per definizione uno spazio miracolato, un privilegio infinito, anche se ti senti a pezzi per la stanchezza. Il viaggio sembra fuori, invece è dentro di te. Sempre.

Oggi, durante la pausa pranzo del congresso toracico di Chieti, dal quale sto rincasando sul solito treno traballante che però questa volta almeno è vista mare, ho fatto una lunga chiacchierata con uno specializzando romano: lo chiamerò, anche se non è il suo vero nome, Germano. A Germano avevo promesso un po’ di materiale sull’Rx addome diretto: gliel’ho portato, abbiamo copiato il materiale da pennetta USB a pennetta USB e poi si è mangiato un boccone insiemimagee.

Germano è un ragazzo in gamba: per certi versi mi ha ricordato il ragazzo poco più che venticinquenne che sono stato ai tempi dell’ingresso in specialità: pieno di aspettative per il futuro, che ancora non riuscivo a declinare in nessuna delle prospettive possibili, volenteroso e stracolmo di voglia di studiare e imparare questo cavolo di stupendo mestiere. La scuola di specialità non è mai facile, quale che sia il modo in cui si decide di affrontarla: non sai mai se ai grandi capi sarai simpatico o antipatico, per esempio, se riuscirai a integrarti nel gruppo degli specializzandi, se sarai bravo o un mediocre come tanti, e quale sarà il tuo destino a fine corsa. Io, per esempio, alla sua età immaginavo un epilogo e poi ne ho avuto un altro. La vita è un viaggio pieno di sorprese, fino all’ultimo giorno.

Ogni tanto, l’ho fatto oggi con Germano, coltivo l’illlusione che la mia non più giovane età mi legittimi a dare qualche consiglio non richiesto al prossimo; anche se forse non ho molta voce in capitolo sull’argomento, e di certo la mia vita non è stata un festival privo di certezze svaporate e di cedimenti strutturali di vario genere e grado. Ma c’è una cosa, forse una delle poche, di cui sono certo: il viaggio è lungo e il tempo va impiegato bene. Come ripete fino allo sfinimento il mio primario, la parabola più importante del Nuovo Testamento è quella dei talenti: che tu ne abbia tanti o pochi non importa, l’importante è farli fruttare.

Certe volte mi guardo indietro, con il tempo lo faccio sempre meno volentieri, e scopro imperfezioni, errori, sbavature. Mi accorgo di aver girato a vuoto invece che seguire un percorso rettilineo, per poi scoprire che sono al punto di partenza. Certo, nulla va mai sprecato: come recitava la mia diapositiva di fine presentazione, ho imparato così tanto dai miei errori che sto pensando di farne altri. Ma non basta.

A Germano oggi ho omesso di dire una cosa importante: che a volte si cade, è vero, e cadere può essere doloroso. Ma tutto serve a capire chi siamo e in che direzione ci stiamo muovendo. E qui chiudiamo il cerchio: il viaggio. Bisogna essere onorati di essere viaggiatori, amarne anche la fatica, le battute d’arresto, le attese sterili. Potrò restare fermo in stazione per un po’, forse, ma i miei occhi non saranno mai tristi come quelli degli altri viaggiatori.

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