Non vuoi vivere a lungo?

di | 20 Giugno 2015

Me lo ha chiesto uno dei miei compagni di scuola del liceo.

Me lo ha chiesto un attimo dopo aver terminato l’ecografia a un vecchietto ultranovantenne. Quando sono entrato in sala ecografica era disteso sul letto, gli occhi sbarrati a fissare il soffitto, o forse il nulla che abita quella terra di mezzo tra la vita e la morte, la bocca con pochi denti spalancata a succhiare quel po’ di aria in grado di tenerlo ancora vivo. Un festival di riflessi nervosi automatici, il capolavoro di un sistema nervoso complesso e meraviglioso che, bisogna dargliene atto, è sempre l’ultimo a mollare la battaglia.

Il vecchietto, ovviamente, non ha risposto al mio saluto: forse nemmeno lo ha sentito. Continuava a guardare il soffitto, o il nulla, mentre io armeggiavo con la sonda sulla sua pancia magra, sulle sue costole sporgenti. Quando sono arrivato alla parte bassa dell’addome ho sentito, inconfondibile, l’odore pungente di urina stagnante nel pannolone. L’odore non della morte, no, ma della vecchiaia andata a male.

Per cui rispondo al mio carissimo amico che no, io non voglio vivere a lungo. Io voglio bruciare tutto, in fretta, non lasciare nemmeno una goccia di carburante nel serbatoio e poi andarmene rapido come sono arrivato. Voglio morire con una parvenza di dignità, la stessa che ho cercato di perseguire nella mia misera esistenza; morire in piedi, capace di tenere la testa ancora diritta sul collo. Voglio morire ricordando il mio passato e riconoscendo le persone care, fino all’ultimo secondo, fino a quando dovrò abbandonare la vettura ormai sgangherata che mi ha trasportato in tutti questi anni.

E rispondo anche che non sono preoccupato tanto del futuro, di quanti anni mi restano da vivere. Io sono preoccupato di ora, dell’adesso, e basta. Perché il tempo è poco, troppo poco e prezioso per perderlo mettendosi alla caccia di chissà cosa; che oggi siamo qui, insieme, stretti per mano, e domani saremo soli e perduti senza nemmeno sapere come e perché sia accaduto.

E che l’ultimo, definitivo rimpianto, prima di morire, non sarà: quanti pochi anni ho vissuto. No, sarà piuttosto l’accorgersi di aver lasciato andare irrimediabilmente le cose preziose, non aver saputo coltivare il mio giardino incantato, non aver raccolto quel quadrifoglio meraviglioso per tempo, aver bruciato tempo senza bruciare carburante. Quel rimpianto definitivo il cui sapore amaro, in punto di morte, io prego ogni giorno di non dover mai sentire.

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