Pubblico e privato

di | 15 Luglio 2012

Vi propongo questo link al blog di un nostro collega oculista (non fate gli spiritosi, mi sembra già di sentirvi: anche oculisti e dermatologi sono medici come voi). E’ un interessante articolo dove si tratta di privatizzazione della sanità: che sia quella la strada che ci attende, come cittadini e come professionisti, è ormai pacifico. Basta fare i conti su quante strutture private stiano comparendo su mercati regionali in cui la sanità pubblica è sempre stata più che dignitosa, e quanto le strutture private già esistenti da tempo investano su macchine e ultimamente anche su personale medico e tecnico di apparente livello qualitativo.

Il dottor De Felice, questo è il nome del collega oculista, riporta una frase del rettore della Bocconi (Guido Tabellini: gente che ormai abbiamo imparato a conoscere come le nostre tasche, uno della banda che ci governa in questo preciso momento): La sanità è fra le cose che occorre privatizzare sempre più per alleggerire il carico dello stato.

Il che ci porta alla prima riflessione: ma noi cittadini non paghiamo già le tasse? La sanità pubblica non ci spetta di diritto per il solo fatto di devolvere all’erario quasi il 50% del nostro stipendio pubblico o dei nostri introiti privati? Il ticket che paghiamo per qualsiasi prestazione sanitaria non è già di per sè un piccolo furto perpetrato ai danni dell’onesto cittadino che paga le tasse fino all’ultimo centesimo? Verrebbe da commentare: risparmiate su altre inutili amenità, tipo l’acquisto di vetusti cacciabombardieri a dubbi fini bellici o, è fin troppo facile dirlo, sulle pensioni miliardarie di gente come Giuliano Amato che la politica l’ha fatta non per servizio ma per mestiere. Ma a dirlo in pubblico, oggi come oggi, si passa per qualunquisti o per grillini; dunque lasciamo perdere.

La seconda riflessione mostra dunque risvolti molto peggiori: e su questo aspetto della faccenda non sono un qualunquista qualunque, se mi passate il gioco di parole, ma un tecnico informato sui fatti. Allora: non tutti i privati che investono in sanità sono dei cinici mostri che speculano sulla salute delle persone per far soldi, questo è scontato. Che però uno investa in sanità per far soldi e non per spirito umanitario è altrettanto scontato. Ecco perché mi fa sorridere l’osservazione di Diego Dalla Valle, noto imprenditore: Occorre privatizzare per abbattere il debito ma ricordando che la solidarietà è basilare. L’imprenditore non ha l’indole di persona che si dedica ad altri ma oggi occorre mettersi a disposizione del Paese.

A disposizione del paese? No, grazie. Facciamo invece così: patti chiari e amicizia lunga. Quando si ha a che fare con i soldi, e con chi cerca di farne il più possibile, preferisco lasciare da parte la solidarietà e ragionare su regole chiare e sui fatti nudi e crudi; e poi di imprenditori che si sono messi a disposizione del paese ne abbiamo fatto indigestione nell’ultimo ventennio. Davvero, abbiamo già dato.

Ma quello che più mi ha lasciato perplesso è stato Rodolfo De Benedetti, amministratore delegato di Cir, che parlando della holding di sanità della sua famiglia ha detto: Abbiamo fatto una mappa del Paese dove andare a operare, non abbiamo scelto le regioni dove lo Stato paga a 4-5 anni perché non potevamo essere sudditi dello Stato.

Ecco qual’è il pericolo insito nella privatizzazione selvaggia della sanità, messo nero su bianco e senza nessun genere di pudore: racchiuso in quella incredibile frase “non possiamo essere sudditi dello Stato”; per i pagamenti, s’intende, non per le tasse (che chissà se, e quanto, vengono pagate). Il pericolo è che una sanità nazionale già fortemente disomogenea sul territorio nazionale come qualità e quantità diventi ancora più sbilanciata: se una regione non paga le prestazioni sanitarie in modo tempestivo, come sarebbe legittimo e dovuto, il privato nemmeno ci metterà il naso. Ma se nel mentre la sanità pubblica è stata smantellata per risparmiare tutto il possibile?

Ha chiuso la serata l’organizzatore della kermesse di cui ha narrato il dottor De Felice (Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni e persino senatore della Repubblica); e l’ha chiusa con questa infelice boutade: “Noi sappiamo meglio dello Stato cosa sia meglio per noi”. Il che, detto da un senatore, ossia da chi lo Stato lo rappresenta, suona proprio male. Se iniziano loro a dissociarsi da sé stessi, poveri noialtri persone comuni.

PS In tutto questo bailamme nessuno, nemmeno il buon De Felice, ha pensato di aggiungere altri due commenti a quanto emerso dal balletto di esuberanti senatori e imprenditori così esperti di sanità italiana: uno, che sarebbe il caso di escogitare misuratori precisi e oggettivi sulla qualità dei servizi sanitari erogati da strutture private, che almeno per la mia esperienza sono una delle maggiori cause di spreco di risorse anche per le ripercussioni che hanno sull’attività pubblica (avete presente quei referti radiologici del picchio, lungamente descrittivi, che si vede lontano un chilometro il poco spreco di tempo e ingegno del radiologo refertante e che poi costringono il paziente a ripetere l’esame in una struttura pubblica in cui qualcuno invece ci capisca qualcosa o abbia voglia di perderci due minuti in più rispetto al tempo standard? Ecco). E due: quando una struttura privata comincia a investire troppi soldi in un territorio sorge spontaneo il dubbio che per rafforzare la produttività del privato occorra abbattere in qualche modo quella del pubblico. Illazioni, mi dite, pure illazioni senza uno straccio di prova. E quindi lasciamo stare, che poi mi tocca passare per qualunquista o per grillino.

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