Quando c’era lui

di | 13 Luglio 2012

Ogni tanto, nelle giornate buone, a tutti i radiologi capita il paziente brillante. Quello con la battuta pronta, la voglia di fare il simpatico a tutti i costi, la risata contagiosa. E noi mediamente ne siamo anche contenti, sempre che il livello di invadenza del simpaticone non superi il livello di guardia: perché la maggioranza dei nostri pazienti ha ben poco da essere allegra e il loro umore si regola di conseguenza.

L’ultimo che ha varcato la soglia della sala ecografica, pochi giorni fa, ha esordito chiedendo se poteva essere trasferito all’ultimo posto della lista di lavoro quotidiano: se ci pensate bene è una richiesta abbastanza insolita per pazienti abituati a pretendere tutto e subito. Quando gli ho chiesto il perché lui ha ribattuto: Perché ho paura, se devo morire e faccio l’esame per ultimo campo qualche minuto in più.

Dopo aver riso insieme della boutade ci siamo immersi nel suo esame. Come tutti i pazienti buontemponi, il difficile è farli star zitti durante l’esame e convincerli a trattenere il fiato per il tempo necessario a estrapolare le nostre brave valutazioni. Lui, nel mentre, non solo il fiato non lo ha trattenuto un secondo ma mi ha pure raccontato la storia della sua vita in poche e fulminee frasi; e, non contento, si è prodotto in una filippica per molti versi condivisibile sullo stato del nostro miserabile paese ai tempi della crisi. Mi ha detto: Io credo in Dio, nella famiglia e nella patria. A casa ho una bandiera italiana di cinque metri ma adesso mi vergogno a esporla in balcone. A quel punto ho già cominciato a nasare il tipo, ma la conferma mi è arrivata quando ha chiosato: Per risolvere i problemi dell’Italia ci vorrebbero non uno, ma cinque Mussolini!

Io invece, e a prescindere dal personale orientamento politico, credo che il tempo dei Mussolini sia miseramente finito nel secolo scorso; che adesso le dittature, per essere imposte, non hanno bisogno nè di uomini forti nè di carri armati per le strade. Le dittature, nel terzo millennio, sono silenziose, strisciano nell’ombra, non arringano più da Palazzo Venezia ma dagli schermi a plasma dei televisori di tutto il mondo. Le dittature oggi non hanno bisogno di soldati, di milizie e di bambini indottrinati sin dalla tenera età. Non gli servono a nulla il partito nazionale unico, l’autarchia, il culto della razza.

Per cui a fine esame, quando si è congedato con un gioviale Viva il Duce!, mi è venuto da ridere ancora. Con i tempi che corrono sarei quasi felice se l’Italia fosse ancora retta da un mascellone in camicia nera e con gli occhi da invasato: almeno, se non ne condividessi motivi e metodi, saprei chi è il nemico, potrei riconoscerlo, guardarlo in faccia, combatterlo fino alla morte. Così invece l’unica sensazione che si prova è di totale impotenza: non sapere esattamente chi è il nemico, non poterglisi opporre in alcun modo, aspettare nel silenzio e nell’ansia che capiti il peggio, per noi e per i nostri figli.

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