Rashid cade

di | 14 Maggio 2012

Rashid cade da sei metri e mezzo di altezza. Forse dall’impalcatura di una casa in costruzione, e chissà se in testa aveva almeno l’elmetto di protezione. O forse da un palo della luce, mentre riattivava il passaggio della corrente elettrica. Fatto sta che Rashid cade da sei metri e mezzo di altezza, sfonda il tetto di un baraccone e aspetta privo di conoscenza che il 118 lo trasporti d’urgenza in ospedale.

Mi chiamano al cordless dal pronto soccorso per avvisarmi: sono tutti molto scossi, si avverte l’aria elettrica che accompagna l’arrivo del traumatizzato importante. Sembra un caso talmente grave che non lo faranno passare nemmeno per l’eco-fast: diretto in TC, come è ovvio che sia, poi alla fine faremo i conti.

Mentre sto andando in TC mi raggiunge il chirurgo: è imbufalito, si lamenta che la collega di PS gli abbia chiesto di preparare gli strumenti per drenare un pneumotorace che avrebbe visto in ecografia mentre stavano intubando Rashid. Ma ti pare, dice digrignando i denti, ma ti pare che sia possibile una cosa del genere?

Nel mentre arriviamo in TC: la situazione di Rashid, a fine esame, sembra meno grave di quanto si temesse all’inizio. Ma tutti, soprattutto chirurgo e medico di PS, hanno gli occhi e le orecchie puntate: questo benedetto pneumotorace c’è o non c’è? A me scappa da ridere: la faldina di aria pleurica è ridicola, qualcosa come dieci millimetri per altri tre, e comunque nulla che necessiti l’intervento del chirurgo. Il quale canta vittoria: Te l’avevo detto!

Ma l’altra, la collega di PS, non si lascia menare la mosca al naso: replica piccata che sono proprio i pneumotoraci di piccole dimensioni quelli che si vedono meglio in ecografia. Alla fine, come accade sempre, come accade in tutte le situazioni in cui due persone polemizzano dal maledetto momento in cui l’uomo si è eretto sulle due zampe posteriori, finisce che nessuno ha torto e nessuno ha ragione.

E che sarebbe stato meglio se nessuno avesse sollevato il problema: perché non so a loro, ma a me una sola cosa stava a cuore. Con il suo bravo pneumotorace o senza, con un drenaggio piantato nel polmone o senza, mentre scorrevano le immagini TC io speravo solo che Rachid non si fosse fatto troppo male. Che sua moglie, i suoi genitori e probabilmente anche i suoi bambini potessero riabbracciarlo presto, rivederlo entrare in casa la sera morto di stanchezza ma con il solito sorriso sulle labbra. Che potesse continuare a sognare il giorno in cui sarebbe tornato in Marocco con la soddisfazione dell’emigrante che ha fatto fortuna.

Che noialtri di soddisfazione da emigranti è una vita che ne sappiamo qualcosa, eccome.

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