Se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto

di | 24 Novembre 2020

Mi chiedo spesso dove e quando sia nata la passione dei politici nostrani per le cifre. Poi ci penso su e mi rispondo: forse a cominciare fu proprio il Berlusca, quando nei suoi scontri all’ultimo sangue con Prodi snocciolava con la disinvoltura di un commerciante al dettaglio vagonate di cifre con la virgola. A volte si faceva prendere la mano, certo, come quando con grande faccia di bronzo sostenne che durante la sua presidenza gli sbarchi dei migranti si erano ridotti del 247%: i matematici ebbero materiale per sganasciarsi dalle risate, perché la cifra era impossibile, ma il popolo no, purtroppo, il popolo ne rimase fortemente impressionato. Alla fine, l’insegnamento del Grande Venditore fu che l’importante non è dire la verità o essere precisi, ma veicolare il messaggio vincente. E lui, quelle elezioni, le vinse. A fare invece una figura barbina, qualche anno più tardi, durante un’intervista televisiva, fu Renzi: che invece i numeri, e forse anche qualche risposta a quesiti molto specifici, li leggeva sullo schermo del Mac, inviati in tempo reale da qualche solerte e più preparato collaboratore. Gli italiani non gliel’hanno mai perdonata: puoi farla passare liscia al cialtrone, che magari ti strappa pure un sorriso di simpatia, ma di certo non al disonesto.

I numeri, è chiaro, si possono usare in modo molto differente. Per esempio, dire che l’intento di governo è creare un milione di posti di lavoro non va preso alla lettera. È una cifra tonda che esprime la volontà generica di dare alla gente quello di cui ha bisogno: promesse che non si possono mantenere, ma che rassicurano nel profondo. Dire invece che il numero di contagiati del giorno è quarantacinquemilatrecentodiciassette non veicola né promesse né certezze, ma dà la gradevole la sensazione di avere a che fare con una persona estremamente competente, sul pezzo, uno che siccome le sa tutte e ha il polso della situazione di sicuro risolverà il problema. Basta solo dargli abbastanza tempo.

Da militare (anno domini 1997) ebbi a che fare con un capitano dell’Esercito di cui, per ovvi motivi, taccio il nome. La sua caratteristica, oltre alla completa inettitudine alla vita marziale, era la sicurezza con cui forniva date e cifre su qualsiasi, e dico qualsiasi, argomento dello scibile umano. Era capace, se gli girava, di citarti a memoria la tal pagina del tal libro e con tanto di virgolettato: ovvio che tutti ne fossero intimiditi. Fu il suo collega, capitano medico, a svelare l’arcano: “Guardate che quello è ignorante come una capra” disse una volta. “Il suo è un trucco, snocciola cifre precise perché è sicuro che nella stragrande maggioranza dei casi nessuno andrà a controllare, e così fa sempre bella figura”. Ancora una volta un venditore sfidava l’uditorio fidandosi non della propria fortuna, come potrebbe sembrare a una prima analisi, ma delle leggi della statistica: la probabilità di essere sbugiardato, in qualsiasi situazione, è comunque infinitamente minore di quella di passare per un fenomeno.

Ecco perché suggerisco sempre di usare grande cautela nei confronti di chi adopera i numeri con pochi scrupoli, in un caso o nell’altro. Come dicevo sempre agli specializzandi che frequentavano il mio vecchio reparto, e ai colleghi giovani con cui lavoro adesso: non è importante, per dire, che conosciate a memoria la percentuale dell’accuratezza diagnostica della risonanza magnetica nel riconoscimento dell’infiltrazione neoplastica della cartilagine tiroidea. L’importante, in tempi di totale libertà di accesso ai dati, paradossalmente non sono più i dati stessi ma la capacità di elaborarli, distinguendo quelli attendibili da quelli che non lo sono.

In definitiva: da un medico radiologo mi aspetto non l’erudizione ma la capacità di scrivere in un tempo ragionevole un referto valido e conclusivo. E da un politico non mi aspetto i numeri con la virgola ma la capacità di immaginare il mio futuro tra dieci anni. Per i numeri, quelli nudi e crudi, bastano e avanzano ragionieri e burocrati.

Quando questo concetto basilare sarà finalmente metabolizzato, e il rispetto per gli interlocutori tornato a livelli accettabili, forse riusciremo ad avere medici e soprattutto politici migliori.

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La canzone della clip è “L’avvelenata”, di Francesco Guccini, nella versione di Agnelli-Pagani tratta dall’album “Note di viaggio vol. 1”. Omaggio di vari artisti al grande Francesco.

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