Si viene e si va

di | 27 Ottobre 2014

Si corre in lungo e in largo per l’Italia: motivo per il quale, me ne scuso, negli ultimi tempi non sono stato molto presente sul blog e ho accumulato parecchio ritardo nella risposta di parecchie e-mail private.

Dunque si corre: e correre tutto sommato è divertente anche per un pigro patologico come me, viaggi in treno e stazioni e metropolitane, si rivede volentieri gente interessante e se ne conosce di nuova, e ci scappa anche una passeggiata per i luoghi belli di questo sventurato paese. Peccato che ogni tanto l’organismo chieda un attimo di pausa, e dopo il tour de force (che per me non è ancora terminato, devo trascinarmi in qualche modo fino a giovedì sera) ci si ritrovi iperraffreddati e febbricitanti. Altrimenti tutto sarebbe perfetto.

Ma c’è una cosa di cui vorrei raccontarvi. In uno dei congressi di questo mese ho rivisto una vecchia collega di specialità. Ci siamo salutati e abbracciati, con l’affetto di chi ha condiviso per anni la stessa cavalleria spirituale anche se la nostra Scuola ormai in pratica non esiste più e a dirigerla è un medico nucleare (sic), e raccontati un po’ di trascorsi per metterci in pari.

A un certo punto lei mi dice: Certo che adesso fai proprio fantascienza, tu. E pensare che in specialità mica eri così.

In che senso non ero così, ho pensato perplesso e per un breve attimo anche risentito, io che pure ricordo benissimo l’impegno quotidiano profuso per diventare un professionista decente, le ore di studio rubate nei bagni dell’Istituto, le cataste di libri sottolineati accanto al pacco delle radiografie da refertare, le migliaia di diapositive che il mio professore mi chiese di fargli in tutti quegli anni, eccetera.

Poi ho capito che la percezione che abbiamo gli uni degli altri è mutevole, cambia colore come le stagioni. Nemmeno io all’epoca avrei pensato di poter fare un tour italiano per congressi, e andarci come relatore: se adesso riguardo indietro a quegli anni vedo solo un giovane medico specializzando che di giorno studiava come un matto, è vero, ma la sera andava a divertirsi; e il cui unico scopo era diventare un bravo radiologo, non un perditempo accademico come in giro se ne vedono tanti.

Per cui, e qui mi rivolgo agli specializzandi che mi seguono, qualunque sia l’idea che avete di voi stessi in questo momento mettetevi bene in testa che nulla è scritto, e se qualcosa fosse scritta potrebbe comunque essere cambiata. Adesso nessuno di voi può sapere cosa sarà di lui, in che direzione andranno i propri interessi lavorativi, che genere di alterne fortune animeranno il futuro.

Perché nella vita sono solo due le cose che pagano: l’impegno e la coerenza. E già riuscire in una è un mezzo miracolo.

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