SIRM 2014 #07

di | 24 Maggio 2014

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Vedi che faccio bene a non venire a questi congressi generalistici e starmene a casa o al lavoro ad aggiornarmi in maniera mirata? E’ un Congresso politico di una società politica la cui unica fortuna è di non avere concorrenti.
Molto meglio i Congressi ed il lavoro delle Sezioni o i Congressi europei di specialità (ESTI, ESGAR etc…)

Questo è quello che scrive oggi Giosi in commento a un post. Io non conosco Giosi personalmente, ho forse intuito più o meno dove lavora ma non so quanti anni abbia né quali siano le peculiarità professionali che lo contraddistinguono. Due cose di lui, dai commenti che ha postato negli ultimi mesi, credo però di averle capite: Giosi è un radiologo preparato ed è una persona di buon senso. La domanda che io (mi) pongo è quindi la seguente: perché uno come Giosi è così avverso alla SIRM?

Per rispondere a questa domanda, in sua assenza, devo provare a ribaltarla: perché uno come me, che da specializzando aborriva tutto quanto era universitario e di conseguenza anche il mondo SIRM, parecchio universitario-pesato, e che (come ha detto oggi una mia collega) sono una rana dalla bocca larga (nel senso che non ho paura di dire quello che penso), ha finito per credere all’ideale societario?

Io concordo sul fatto che la grande fortuna della SIRM sia l’essere una società senza concorrenti: ma non posso negare che questo, al tempo stesso, sia anche un suo grande merito. Gli anestesisti, per esempio, hanno la bellezza di cinque società scientifiche: come si può agire di concerto così frammentati? E concordo anche sul fatto che un congresso generalista non sia l’ideale se vuoi aggiornarti: l’europeo di Vienna è uguale, sebbene con proporzioni più ponderose. Ma il congresso politico, come lo chiama Giosi, non è di per sé un male: come tutto il resto, dipende dall’uso che ne fai. Se il congresso nazionale, come sovente accade, diventa un luogo per incontrare persone con cui organizzare progetti futuri, certo che il gioco vale la candela: questi giorni per me sono stati forieri di idee e progettualità per il futuro immediato e quello un po’ più lontano. Non so quanti di questi progetti andranno a buon fine, ma sono pieno di idee come un vulcano in eruzione; e di qualche progetto ho già provato a tracciare i confini, immaginando una squadra che possa condividerne sforzi e risultati.

Il problema, e qui vengo a Giosi, è quello di cui parlavo oggi con svariati insigni personaggi societari: il periodo è drammatico, tira una gran brutta brutta aria e se la SIRM non sarà in grado di costituire il vero nerbo della Radiologia italiana tutto andrà a catafascio, o rimarrà in piedi solo un social network in cui pochi tromboni se la canteranno e se la suoneranno in algida solitudine. Costituire il nerbo di una comunità vuol dire interpretarne le esigenze e assecondarne i bisogni: cosa che, lo dico molto chiaramente, adesso non succede. Adesso il socio in gita a Firenze vede solo una cosa: personaggi potenti che confabulano negli angoli più o meno nascosti del congresso, ordendo chissà quali nefandezze future (e magari invece stanno solo prendendo il caffè insieme).

Insomma, la fiducia cala mentre il bisogno societario cresce. L’idea della casa di vetro societaria, di cui mi parlava un altro insigne personaggio societario, è davvero la sola strada per salvare la baracca e frenare l’emorragia di iscrizioni. Trasparenza, fatta la tara del fastidio nel ripetere un termine così abusato in linguaggio politichese, vuol dire apertura al dibattito, al confronto anche serrato, vuol dire libertà di critica e di proposizione, disponibilità all’ascolto attivo, partecipazione. Tutti qui in questi giorni a chiederci di partecipare: ma la partecipazione necessita di un campo di confronto che adesso è chiuso a chiave. E necessita di fiducia: in sé stessi e negli altri.

In risposta a Giosi, io penso che alla mia età l’impegno societario sia quasi un obbligo. Nemmeno a me piace (tutta) la SIRM, ma in mezzo alle molte cose che non condivido (come non le condividevo vent’anni fa, d’altronde) ho trovato anche realtà positive, persone appassionate, progetti che potrebbero davvero coinvolgere i radiologi italiani e generare un’onda di crescita collettiva. La Radiologia italiana è molto giovane, avete visto quanti ragazzi ci sono al congresso? Quella è la vera ricchezza societaria su cui puntare: il cattedratico settantenne, con tutto il rispetto che si può portare a chi ha costruito pezzi di storia della disciplina, ha dato, ha preso e il suo compito è finito. Anzi, forse non è del tutto finito: c’è sempre una memoria storica da preservare, e quella non va perduta.

A questa visione (pseudo-ottimistica) del futuro si può scegliere se partecipare o se limitarsi ad assistere dalla finestra. Io ho scelto la prima ipotesi: dovesse andar male, credo che da qualche parte una finestra vuota la troverò anche io.

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