Un po’ di orgoglio (ma poco pregiudizio)

di | 13 Maggio 2012

Come probabilmente già sapete, leggendo il blog, negli ultimi giorni mi sono improvvidamente fatto coinvolgere in una sterile polemica sugli aspetti fondamentali della professione medica: sterile non perché il disaccordo tra le parti non potesse essere almeno in qualche misura ricomposto, ma perché erano errate le premesse della polemica stessa. Il che, come è noto, rappresenta il maggiore ostacolo a qualunque genere di discussione.

Ma c’è stato un risvolto inatteso e persino sorprendente. Il numero dei commenti al post, come sempre ma questa volta in misura ancora maggiore, è stato solo una minima frazione delle mail che mi sono giunte al’indirizzo di posta elettronica del blog: quasi tutte scritte da studenti prossimi alla laurea in medicina e da specializzandi di discipline anche e soprattutto non radiologiche; e tutte impregnate di un orgoglio di categoria a tratti persino vibrante e commovente. Il che, dal mio punto di vista, è stata una sorpresa: può darsi che i vecchi medici attempati come me siano più o meno rassegnati all’accanimento mediatico di cui è fatta oggetto la categoria, ma i più giovani a quanto pare non ci stanno e lo affermano con molta energia. Sono consapevoli della complessità del loro corso di studi, delle prerogative culturali e professionali che comporterà la loro laurea di sei anni (e dico sei) e del successivo corso di specializzazione (che dura quattro o cinque anni, dico quattro o cinque). I più giovani, dunque, non hanno nessuna intenzione di vedere sottovalutati i loro sforzi, o il loro corso di studi parificato ad altri collaterali di ambito sanitario: che hanno la loro dignità, nessuno lo mette in dubbio, ma sono proprio un’altra cosa.

Questa riflessione, tuttavia, oltre a confortarmi è al tempo stesso anche motivo di profonda tristezza perchè la dice lunga sulla considerazione in cui vengono tenute le professioni intellettuali nell’Italia ai tempi della crisi: sembra emersa la strana fregola di parificare tutti sul più basso livello possibile; l’incomprensibile volontà di eliminare le peculiarità professionali come se delle strutture gerarchiche ci si dovesse vergognare, invece che razionalizzarne il funzionamento. Invece, e ci tengo a sottolinearlo, almeno in questa vita noi non siamo tutti uguali, non siamo interscambiabili e soprattutto un corso di studi non vale un altro. Mettetevela via, non c’è niente da fare: oppure ricominciate a rivolgervi al tiraossi se vi slogate una caviglia e sperate nel vostro Dio.

Il che ci riporta direttamente alla comprensione del mondo in cui viviamo, e nello specifico alle regole di una buona conversazione. In tanti, studenti e specializzandi, mi chiedono come possono imparare a rendere più consistente il loro ragionamento clinico: io rispondo che le regole di un buon ragionamento sono le stesse di una buona conversazione, e molto hanno a che fare con le fonti da cui vengono tratte le informazioni. A parlare sono bravi quasi tutti; a scrivere su internet, invece, proprio tutti perché purtroppo manca un contraddittorio immediato e quando si esprime un concetto l’interlocutore non è lì a guardarti fisso nelle palle degli occhi e a pesare in tempo reale le tue parole. A maggior ragione, quindi, quando si scrive su internet buona regola sarebbe citare con precisione le fonti da cui si traggono le informazioni condivise. Il rischio, a non farlo, è cadere nel vizio del sillogismo: secondo il quale, per esempio, il mio medico è un cialtrone, la sanità italiana è gestita dai medici, dunque la sanità italiana è gestita da cialtroni. Ossia, si finisce per confondere il particolare con l’universale: sarebbe come dire che siccome in lontani anni universitari ho vissuto con compagni di appartamento insopportabili, e di origine pugliese, tutti i pugliesi sono insopportabili.

D’altro canto è sacrosanta l’affermazione di più di uno studente/specializzando: non ho nessuna intenzione di vergognarmi di quello che sono, ossia un medico, perché io questa professione la amo. Bene: avete presente quei tipi di amore estremo, per cui si è disposti a tollerare in silenzio tutto per il bene della persona amata, persino che ti odi a morte e ti disprezzi e ti consideri la causa prima e ultima di tutti i suoi mali? Ecco, a me è già successo nella vita privata. Se l’ho sopportato in quella circostanza potrò sopportarlo anche nella vita lavorativa. Per cui mettetevela via, noi non ci vergogneremo di essere medici: continueremo a fare il nostro lavoro, al meglio di come possiamo, e pazienza per il resto.

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