Visi

di | 3 Gennaio 2015

Il viso di Silvia, la giovane ragazza di tanti anni fa, con in pancia un male dal nome impronunciabile, il sorriso bello da immaginare mentre mi manda una cartolina dalla Grecia. Durante l’ultima estate della sua breve vita.

Il viso di Giorgio, che venne apposta in reparto per ringraziarmi di quella volta che, mentre era disteso sul lettino della TC, gli presi la mano e gli dissi che da quel fottuto male sarebbe guarito e che piangere passi pure, ma mai e poi mai gli avrei permesso di gettare la spugna.

Il viso di Luigi, paziente difficile che mi aveva abbracciato davanti a tutti dopo un drenaggio toracico ancor più difficile, incontrato per caso anni dopo e subito pronto a offrirmi le chiavi della sua casa in Sardegna.

Il viso di Ettore, a cui anni fa diagnosticai un linfoma, che mi chiama per ogni controllo ecografico dicendomi: Dottore, quando è di guardia che la vengo a trovare?

Il viso di Luca, la sua voce roca dopo l’intervento alla laringe, che viene a fare i controlli dalla Sicilia e ogni volta mi porta una bottiglia di fragolino fatta con le sue mani (e il viso di Lucia, sua moglie, così grata che Luca sia ancora vivo).

Il viso di Paolo, spaventato dalla diagnosi della sua malattia. Il viso di Paolo, devastato dalla chemioterapia. Il viso di Paolo, qualche tempo dopo, tornato normale, che mi sorride sereno e mi invita a cena nel suo ristorante.

Il viso di Laura, che già sapeva di essere condannata, mentre mi regala un bellissimo vassoietto in vetro di Murano e dice: Questo un giorno lo poggerà sulla sua scrivania, quella giusta.

Il viso di Debora, quando convinco il collega a non mettere ancora le mani addosso al figlio perché secondo me quello non è un tumore. Il viso di Debora, ancora, quando viene a ringraziarmi insieme al marito perché suo figlio non avrà una brutta cicatrice sul collo. Non questa volta, almeno.

Il viso di Pietro, l’ultima volta che ci siamo visti, mentre mi abbracciava forte con quell’espressione stanca che aveva negli ultimi giorni e mi diceva che non ero stato un medico, per lui, ma un amico.

Ce ne sono tanti altri, e sappiate che li ricordo tutti. Ed è per dire che potete toglierci i soldi, le prospettive di carriera, il tempo per fare bene il nostro mestiere. Potete incasinarci il lavoro, farci lavorare inutilmente per ventiquattro ore al giorno, metterci contro i pazienti e i colleghi.

Ma non riuscirete a farci perdere la voglia di farlo bene, questo mestiere, né ora né mai.

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