20 dicembre, domenica

di | 25 Dicembre 2009

20 dicembre, domenica.

E’ mattina presto, il mondo è bianco di neve. Fuori: 14 gradi sotto zero.

Il radiologo apre a fatica il portone di casa perchè il ghiaccio lo ha mezzo bloccato nei cardini. Fa due passi per saggiare le possibilità di equilibrio, pattina per qualche decina di centimetri, poi decide di camminare raso ai muri, dove il ghiaccio è meno spesso. O dove qualcuno, secoli prima, ha già camminato lasciando una traccia esile da animale braccato.

Per strada non c’è nessuno. Uomini, mezzi di locomozione, animali: nessuno. L’universo è un deserto di ghiaccio disabitato.

Il radiologo cammina a fatica, i suoi doposci disperano di far presa sulla neve ghiacciata, e si sente un pò come Will Smith in “Io sono leggenda”. Una città intera morta sotto i suoi piedi, e solo lui a percorrerla con l’incoscienza del sopravvissuto.

L’aria è fredda e secca. I picchi beccano a ritmo il tronco degli alberi. Da lontano si intravedono le luci accese dell’ospedale, un remoto miraggio di calore.

Il senso di solitudine, però, non si dissipa. Anzi, è quasi confortante. Rassicura. E’ un silenzio che protegge.

E’ facile pensare in certi momenti che in questo mondo, su questo pianeta, cominciamo a essere in troppi. E che siamo in troppi a non fare nulla di buono: occupiamo solo spazio utile, consumiamo risorse destinate fatalmente a esaurirsi.

Ma tutto questo non si può dire. Viviamo in un paese cattolico. E’ quasi Natale. Fuori c’è la neve.

Buongiorno, dice il radiologo al portinaio dell’ospedale, e comincia l’ennesima giornata di pronto soccorso.

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