Un giorno, tornando in scooter dall’ospedale dove di tanto in tanto presto consulenza, mi sono fermato a controllare se prima di uscire avevo preso la smart card per la firma elettronica dei referti (che ho la sgradevole tendenza a dimenticare dappertutto, come il telefono cellulare). Ho messo la freccia a destra, in aperta campagna, ho accostato, spento la moto e tolto il casco.
E lì fuori, in mezzo alla campagna sterminata, mi ha stecchito un silenzio che non ascoltavo più da anni. Così meraviglioso che sono rimasto fermo per cinque minuti, con gli occhi semichiusi, all’ombra di un albero molto frondoso, a godermelo. In silenzio. Come quando ti arriva un bel regalo e tu proprio non te lo aspettavi.
Poi sono ripartito e c’era intorno tutta questa campagna ordinata, i filari di viti, i campi di grano, i boschetti, lungo stradine secondarie che gli automobilisti frettolosi non conoscono neanche più. Da sotto il casco mi arrivavano odori di terra soleggiata, di torrenti che scorrono sotto piccoli ponti di pietra, di fiori campestri, di grilli e cicale. Una campagna addomesticata, è vero: ma con l’impressione che, come i nostri cani domestici, se potesse decidere del suo futuro non tornerebbe più indietro ai tempi in cui non c’era l’uomo ad addomesticarla.
Poi sono arrivato in città e c’era la tangenziale, le auto sparate a centoventi all’ora, il traffico dell’ora di punta, i guidatori con l’aria truce, i colpi di clacson equivalenti a salve reciproche di vaffanculo tra violatori del codice della strada, le rotonde della morte dove non vince chi entra per primo, ma chi è più grosso e più veloce degli altri.
E poi, stanotte, alle tre e mezza, un ragazzo di ventitré anni che in moto si è trovato la strada tagliata da un’automobile e si è fatto un volo di venti metri con tutte le conseguenze che ci si può facilmente immaginare pur non essendo del mestiere. Fuori dalla porta della tac c’erano i genitori, solo a vederli mi è venuta la pelle d’oca alta un dito.
Per cui oggi vi propongo un esercizio spirituale. Pensando a quando arriverà l’armageddon, cerchiamo di guardare il lato positivo della faccenda: rimarremo in pochi, avremo bisogno gli uni degli altri, si tornerà a spostarsi solo quando serve davvero e su carrozze trainate da cavalli (per chi se li potrà permettere).
Tutto sommato quel giorno avremo perso lo spazio, ma in cambio avremo riguadagnato il tempo.