Stefano Ciatto era un radiologo. Dedicato prevalentemente alla senologia. Non lo conoscevo personalmente ma seguivo il suo blog: pur non interessandomi in modo sistematico all’argomento trovavo interessanti i suoi post e apprezzavo molto lo stile e il rigore con cui affrontava problemi tecnici ed etici che per noi medici, radiologi soprattutto, sono all’ordine del giorno.
Chi invece lo conosceva e mi ha parlato di lui sottolinea spesso un aspetto del suo carattere: Stefano Ciatto non parlava per dare aria ai denti, com’è in uso da queste parti. Parlava quando aveva qualcosa da dire e le sue argomentazioni erano sempre supportate dall’evidenza scientifica. Sarebbe a dire che quando esponeva un personale punto di vista, o demoliva un punto di vista altrui, lo faceva con la forza dei numeri e dei dati presi dalla letteratura scientifica. Un tipo di rigore che, in tempi come questi in cui vince chi urla più forte, apprezzavo oltremisura.
Stefano Ciatto, qualche giorno fa, è morto in un incidente stradale. Lasciando un grande vuoto affettivo in chi lo conosceva, immagino, e un vuoto intellettuale in chi come me non lo conosceva personalmente ma lo seguiva in Rete con quell’interesse che può essere sostenuto solo da grande stima personale. Ironia della sorte, è morto lasciando a tutti noi una specie di testamento spirituale: un post, datato febbraio scorso, intitolato “Riflessioni di un Radiologo disilluso”. Si tratta di una riflessione molto amara sullo stato di salute della medicina moderna, sui difficili rapporti tra medici e pazienti e tra gli stessi medici di differenti discipline. Ed è un’analisi spietata, in un certo senso, anche della direzione sbagliata che tutti noi stiamo imboccando: come singoli individui e come comunità. La potete leggere qui.
Io non voglio aggiungere molto altro a quello che Stefano ha scritto in quell’occasione: credo che le sue parole bastino e avanzino a significarsi da sole; e sono sicuro che lasceranno un segno in molti di quelli che le leggeranno. Solo una cosa: questi non sono tempi in cui si possa perder tempo a operare divisioni, a guardarci le spalle da tutti, a diffidare di chiunque. Sono tempi in cui siamo chiamati a ridurre distanze, ad avvicinarci al nostro prossimo e ascoltarlo. Sono tempi in cui può accadere di tutto, e molto sta già accadendo. Dobbiamo renderci conto che al mondo non esistiamo solo noi e il nostro carico di fissazioni personali; e che c’è sempre un discrimine, sottile ma evidente, tra la realtà dei fatti e ciò che noi vorremmo fosse vero.
Stefano, questo, ce lo insegnava con il suo lavoro. Quello di ogni giorno.