Piccola storiella zen.
C’è un radiologo. A un certo punto della sua vita questo radiologo, che ha sempre avuto una certa tendenza ai mal di testa, sviluppa una forma seria di emicrania. Seria, intendo: attacchi che lo mettono al tappeto, letteralmente. Che fanno cambiare il suo umore. Che lo costringono a lavorare in condizioni in cui qualunque altro essere umano si ritirerebbe in una stanza buia e silenziosa a piangere.
A un certo punto i comuni antidolorifici smettono di fare effetto e anzi, se li prende per altri motivi, il mal di testa glielo fanno venire. L’indometacina meglio di no, perché gli strappa letteralmente l’anima fuori dal corpo e gli fa vivere esperienze extrasensoriali che sarebbero anche interessanti, peccato che a volte è a casa da solo con i bimbi e farsi un trip, in quel momento, non sembra cosa buona. Allora gli restano i triptani. I triptani gli fanno passare l’attacco in mezz’ora, lo lasciano rincoglionito per il resto della giornata e gli stappano il naso. Ne prende così tanti che se non gli è venuto un infarto, in quegli anni in cui il cuore gli è battuto a mille, vuol dire che le sue coronarie sono larghe come autostrade. Non va mai da nessuna parte senza il suo portapillole, che a questo punto somiglia tanto alla coperta di Linus. Ne prende così tanti che, qualche anno dopo, in primavera, si sveglia una mattina con le orecchie che fischiano come un treno.
A quel punto, anche per altri motivi che non stiamo a specificare, il radiologo è talmente stufo che da un giorno all’altro smette di assumere farmaci. Butta via tutto. Lascia a casa il portapillole e aspetta con terrore l’attacco successivo. Il quale arriva, ovviamente, dura quattro giorni, e poi passa. Passa da solo, senza bisogno di farmaci.
Da allora, il radiologo non prende farmaci per l’emicrania. Gli attacchi cominciano a diventare più distanziati tra loro, meno forti come intensità. A volte a farli passare basta un moment, altre volte passano da soli. Soprattutto, il suo umore non è più appeso a un filo. Il mondo si riprende i suoi colori, la musica torna ad allietare le sue giornate. Incredibile a dirsi: quando ha un attacco scopre che il sollievo maggiore, non di tipo farmacologico, e per favore non ridete, sono le canzoni di Arisa. Alla quale da quel momento comincia a voler bene come a una sorella.
La morale della storiella zen è la seguente: a volte si sta male, e al momento non se ne capisce bene il motivo. L’importante però è il passo successivo: comprendere che non sempre ciò che ti fa passare il dolore è destinato a farti star bene in senso più estensivo. A volte quello che fa star meglio, sul momento, in realtà ti sta avvelenando.
In quei momenti, quando giunge il lampo di comprensione, è meglio buttare via tutto e stringere i denti. Il dolore è tenace ma tutto quello che occorre è farlo accomodare accanto a noi. Prima o poi si romperà le palle, credetemi, e andrà a cercarsi un’altra vittima.