Anche la notte più lunga non durerà in eterno

di | 19 Febbraio 2017

Prendo spunto da un delirante articolo che il mio amico Giancarlo ha provocatoriamente postato su Facebook: il quale in buona sostanza sostiene con tanto di virgolettato (privo di fonte) che “potrà sembrare strano, ma l’accuratezza della FAST* eseguita da un infermiere esperto e correttamente addestrato risulta comparabile con l’accuratezza della FAST eseguita da un medico”.

E certo che sembra strano, ma andiamo per ordine.

Uno: il sito da cui è tratto l’articolo è di chiara matrice infermieristica. Che c’azzecca, direte voi? C’azzecca nei termini in cui, nel recente congresso di radiologia d’urgenza che si è tenuto a Belluno e nel quale il vostro amatissimo blogger ha tenuto una relazione, si è espresso Roberto Grassi: il numero degli infermieri, in Italia e negli ultimi 40 anni, ha avuto una progressione geometrica; mentre il numero dei medici è rimasto uguale. E questo fa del corpo infermieristico una lobby in grado di orientare, o quantomeno influenzare, le scelte del decisore politico. La questione, quindi, è di pura e semplice sopravvivenza: nei tempi antichi (ma anche adesso, sebbene con modalità differenti) quando una tribù diventava troppo numerosa e le risorse a disposizione si esaurivano, si cercava fortuna nei territori altrui anche a costo della guerra.

Due: qui, in teoria, non siamo in guerra ma stiamo parlando di come (ri)organizzare un sistema sanitario in evidente affanno e in crisi di risorse. E invece, paradossalmente, il problema è proprio di natura bellica. Da un lato abbiamo un numero di medici rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi 40 anni, dall’altro un incremento della pressione lavorativa, nel campo dell’imaging, ai limiti dell’incredibile. Brillante soluzione al problema? Facciamo fare quello che finora è stato di competenza medica, per esempio le ecografie, ad altre figure professionali: i TSRM e gli infermieri. Ma qui si pone un problema enorme: quello delle competenze. In altri paesi esiste una figura specialistica chiamata sonographer: ha un corso di studi strutturato in due fasi e, come spiegato qui senza che vengano specificati gli anni di studio, prima di accedere alla Laurea Specialistica (Master degree) deve aver acquisito una laurea di base (Bachelor degree). Lo stesso articolo sottolinea anche che “ci sono quattro percorsi specialistici: vascolare, cardiaco, medicina generale che generalmente include il distretto muscolo-scheletrico e l’addome e, infine, ostetricia e ginecologia”. Il che vuol dire, in soldoni, che il sonographer ha un percorso di studio focalizzato a un obiettivo iperspecialistico e strutturato su almeno quattro o cinque anni, in cui l’impegno dello studente è mirato, appunto, a diventare sonographer. In Italia le cosiddette lauree “brevi” del comparto sono strutturate su tre anni, nei quali viene insegnato ai futuri infermieri o tecnici di radiologia praticamente tutto (nel caso del TSRM, spaziamo da note di anatomia e fisiologia alla fisica della radiazioni ionizzanti, della risonanza magnetica e degli ultrasuoni, per finire con la radioterapia). Insomma, due percorsi di formazione che non hanno nulla a che vedere gli uni con gli altri.

Tre: difficile non capire che la mossa, sebbene imprudente sul piano programmatico, è furba sul piano economico. Un infermiere o un TSRM costano molto meno di un medico e sulla carta possono fare una parte del suo lavoro: non ci vuole un economista consumato per capire dove si vuole andare a parare. Il che mi riporta alla mia personale esperienza con TSRM che, per lo più, e saggiamente, nemmeno ci pensano ad accollarsi a parità di stipendio la responsabilità di refertare un’ecografia: ma, come è noto, la storia è piena di persone che hanno condotto battaglie personali sulla pelle delle persone che avrebbero dovuto rappresentare. Il problema però è il seguente: che tipo di servizio questa innovazione offre ai pazienti che afferiscono al Sistema Sanitario (ancora, ma non è chiaro per quanto) Nazionale?

Quattro: a prescindere dalle osservazioni sul percorso formativo dei singoli operatori ecografici, che tra persone di buon senso già basterebbero a chiudere la faccenda, ci sono implicazioni sottili che non possono essere trascurate e che coinvolgono anche altre figure, questa volta mediche, che si affacciano al mondo ecografico. In calce al post di Giancarlo c’è stato un botta-e-risposta, a tratti delirante, nel quale ho fatto fatica a non farmi trascinare perché tanto esporre un punto di vista, nel variegato mondo della Rete in cui tutti danno aria ai denti perché non si è faccia a faccia con l’interlocutore, è letteralmente inutile. Qualcuno (non è chiaro se medico, e che tipo, o altro) ha scritto: “se vieni nel reparto dove sono io, tutti sanno fare estremamente bene le ecografie, tant’è che se chiedi un radiologo per farne una ti ridono dietro”; e poi: in epatobiliare bisogna saper fare le ecografie addominali da dio”. Al che sorge spontanea una domanda: fatto salvo il radiologo, che ha un corso di studio mirato integralmente all’imaging, chi decide quanto “da dio” sono fatte le ecografie di specialisti che normalmente si occupano d’altro?” Chi certifica la qualità dei referti ecografici di un gastroenterologo, per dire, o di un chirurgo? Al di là dei corsi da cinque giorni dai quali si esce muniti di diplomino con valore legale, chi è il garante dell’attività ecografica di un medico che ha studiato per un profilo differente, medico o chirurgico che sia? Non è che ci stiamo avvicinando pericolosamente a uno dei mali italici per eccellenza, ossia l’autoreferenzialità?

Cinque: il che apre il campo al concetto che oggi volevo focalizzare. Sapete cos’è l’effetto Dunning-Kruger? Come recita Wikipedia alla voce corrispondente, si tratta di una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti in un dato campo applicativo tendono a sopravvalutare la propria performance giudicando, a torto, le proprie abilità come superiori alla media. Questa distorsione viene attribuita all’incapacità metacognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere i propri limiti ed errori. Guardate con attenzione questo grafico.

Il livello di confidenza nelle proprie capacità (in questo caso diagnostiche, esplicate mediante l’uso dell’ecografo) è massimo quando si è all’inizio della curva di apprendimento: in buona sostanza l’effetto Dunning-Kruger, documentato da tonnellate di studi psicologici, dimostra che più siamo ignoranti e più la percezione della nostra ignoranza è bassa. E’ solo quando l’esperienza aumenta e diventa considerevole che cominciamo a porci dubbi legittimi sul nostro operato (cavolo, ma quel collega è più bravo di me nel muscolo-scheletrico, potrei chiedergli consiglio più spesso. Oppure: cavolo, quel medico ha fatto cinquantamila ecografia nella sua vita professionale, io solo cinquecento). I due premi Nobel ipotizzarono inoltre che, per una data competenza, le persone inesperte a) tenderebbero a sovrastimare il proprio livello di abilità; b) non si renderebbero conto dell’effettiva capacità degli altri; c) non si renderebbero conto della propria inadeguatezza; d) si renderebbero conto e riconoscerebbero la propria precedente mancanza di abilità solo qualora ricevessero un addestramento per l’attività in questione. Da cui torniamo a bomba: chi forma queste figure professionali, e come; e chi si accerta, e in che modo, che queste stesse figure professionali abbiano raggiunto un livello di addestramento sufficiente a riconoscere la propria mancanza di abilità, da un lato, e l’effettiva capacità dell’operatore esperto dall’altro.

Sei: queste considerazioni, che si applicano alla perfezione a chi si picchi di fare l’ecografista senza un’adeguata formazione specialistica e senza una casistica che incrementi il livello di confidenza reale, non quello percepito dall’operatore stesso, danno una risposta concreta allo scenario in cui figure del comparto si dedichino alla diagnostica ecografica senza supervisione medica. Non è questione di difendere il proprio fortino, anche se forse è arrivato il momento di farlo, quanto di decidere la strategia più razionale per l’allocazione delle poche risorse che rimangono. Come scrisse su queste pagine, qualche anno addietro, un noto universitario italiano di cultura radiologica: le cose, in medicina, vanno fatte da chi sa farle. Altrimenti, come sottolineato più volte anche dalla buonanima di mio nonno, finisce che chi meno spende più spende: perché per ogni esame ecografico non diagnostico cresce proporzionalmente il numero di esami di secondo e terzo livello richiesti perché l’ecografista inesperto (ma presuntuoso, come dimostrano Dunning e Kruger) vede reperti che non esistono o non capisce nulla di un quadro appena più complesso del citatissimo “globo vescicale” (sebbene anche lì ci sarebbe da discutere: e se una cisti annessiale gigante fosse scambiata per un globo vescicale dall’ecografista inesperto?).

Sette, e poi metto il punto: tutto quello che ho scritto è inutile e forse pure dannoso. Perché l’effetto Dunning-Kruger ha un campo estensivo di applicazione, cioè il mondo di Internet. Un mondo in cui chiunque si sente in diritto di dire la propria, anche su argomenti dei quali non capisce una mazza, avvalendosi dell’impunità e della mancanza di vergogna che conferisce all’internauta lo schermo asettico di un computer. Un mondo distopico in cui la casalinga di Voghera può dare dell’ignorante al medico con quarant’anni di esperienza, o un matto qualunque sostenere con grande dovizia di particolari che la Terra è piatta, o un gastroenterologo affermare che chiamare il radiologo per un’ecografia è un’evenienza che fa ridere i polli.


* FAST è l’acronimo di Focused Assessment with Sonography for Trauma, ossia l’ecografia fatta ai pazienti traumatizzati per escludere la presenza di versamento peritoneale libero e/o di versamento pericardico. Tale approccio ecografico consta di 4 scansioni, ed è veloce proprio per quello. Da sottolineare che il radiologo, quando chiamato alla barella del paziente traumatizzato, non si limita alla FAST ma esegue un’esame ecografico completo.

La canzone della clip è “Prime time”, degli Alan Parson Project, tratta dall’album “Ammonia Avenue” (1984).

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