Camminando per i corridoi del mio ospedale incontro spesso persone di altri paesi: i cosiddetti extracomunitari, tanto per adoperare un termine politicamente corretto che a me non piace per niente. Li incontro e mi piace guardare i loro volti, i colori dei vestiti che indossano: trovo che la convivenza con persone appartenenti ad altri popoli sia una specie di finestra aperta sul mondo, un privilegio che al nostro paese è toccato con troppo ritardo rispetto a quelli appena oltre confine.
Certo, la convivenza a volte provoca problemi; e poi tutto il mondo è paese, e dappertutto ci sono persone per bene e persone disoneste. Però credo anche che il tempo giochi a nostro favore. Adesso i nostri figli ci portano a casa bambini africani, cinesi, indiani, e giocano e studiano con loro; domani fra questi bambini finalmente cresciuti nasceranno storie d’amore, matrimoni e altri figli.
L’integrazione passa anche attraverso questo lento processo di osmosi: ma ci vuole pazienza, e soprattutto ci vuole tanta curiosità verso quello che succede appena oltre il nostro naso.
Forse è vero che gli italiani non sono mai stati un popolo di razzisti, nemmeno quando il razzismo gli è stato imposto dall’alto; ma un popolo di persone intellettualmente pigre si, e su questo purtroppo non ci piove.