Succedono cose tremende, lo sapete, perché questo è un mondo difficile. Così, può accadere che un povero cristo di netturbino, rovistando nella spazzatura accatastata nella discarica di un paesino del veneziano, trovi un sacchetto di plastica con dentro non l’umido di casa, non le batterie smaltite nel posto sbagliato, non carta e cartone, ma un neonato. Un bimbo appena nato, con ancora il cordone ombelicale attaccato. Buttato lì, morto, nell’immondizia.
Intendiamoci: io non sono in grado di esprimere giudizi su persone che non conosco e su fatti che non ho accertato personalmente, e non lo farò nemmeno in questa circostanza. Vi racconterò invece il misero punto di vista del radiologo. Vi racconterò di quando l’autorità giudiziaria lo contatta per l’esame radiografico di rito, per capire se ci sono fratture, se il piccolo è stato malmenato prima di essere depositato nel peggiore dei posti possibili. E vi dirò una sola cosa: il primo pensiero che viene in mente, di fronte alla radiografia triste di quel corpicino straziato, non riguarda la morte ma la vita. Ti chiedi solo: cosa sarebbe diventato quel bimbo da grande? Un benefattore o un criminale? Lo scienziato che avrebbe scoperto la cura del cancro o un antivaccinista della prima ora? L’ingegnere che avrebbe costruito l’astronave in grado di portare l’uomo su Marte e sottrarlo al proprio destino suicida o l’industriale senza scrupoli che avrebbe inquinato definitivamente gli oceani? Un premio Nobel per la letteratura o un uomo distrutto dal peso dei suoi fallimenti?
Ecco: a questo si pensa in quei momenti, con gli occhi chiusi. Si pensa al potenziale destinato a non avverarsi mai più, alla ricchezza smarrita del possibile, sebbene difficoltoso, in luogo delle certezze disperanti di chi si è arreso. Si pensa alle occasioni perdute, alla sfiducia cronica che abbiamo nel mondo e in chi lo abita. Si pensa a quanta paura abbiamo, a quanto poco i millenni di evoluzione abbiano lavorato affinché smettessimo di essere, in ultima analisi, nient’altro che bestie spaventate.
Poi si riaprono gli occhi e si guardano un ultima volta le ossa fragili di quello scheletrino.
E firmare il referto diventa quasi un sollievo.