Buoni propositi per il 2013

di | 27 Dicembre 2012

Il mondo alla fine non è finito, almeno non nei termini cataclismatici a cui si era pensato in questi anni: il che ci fornisce ulteriori motivi per non credere supinamente a quanto ci viene raccontato, ogni giorno, su tivù e giornali (e se è per questo neanche su internet). Quindi avremo un altro anno a disposizione per provarci e ritrovarci, e anche se le premesse non sono le migliori direi che conviene sempre la pena di fare un altro tentativo.

Lo scorso capodanno invitai tutti alla benevolenza: devo però ammettere che nell’anno solare in corso il primo a venir meno all’invito sono stato proprio io. Si, perché nel 2012 mi sono incazzato parecchio: sarà la crisi, sarà che il tempo e le risorse scarseggiano, ma mi sono incazzato parecchio. Anche con me stesso, direi, perché non sempre i miei risultati sono stati all’altezza di ciò che aspettavo. Certo, ci sono difficoltà, in fin dei conti la vita è una corsa a ostacoli e non sai mai quanto tempo avrai a disposizione per portare avanti il filo delle tue idee; ma alla fine il risultato è sempre quello. Se hai talenti e non li fai fruttare persino il Padreterno ti castiga.

Ma quest’anno ho un altro genere di invito da proporvi. Noi tutti, si spera, specie quelli che hanno a che fare con professioni intellettuali, abbiamo standard elevati. Vorremmo che gli altri facessero interamente il loro dovere, senza incertezze, e che gli errori altrui non pesassero sul nostro lavoro quotidiano. Però tendiamo a dimenticare che errori ne commettiamo anche noi, e a bizzeffe; e che i nostri errori non sono meno gravi e imperdonabili di quelli altrui.

Sarà difficile, ne convengo, ma l’esercizio spirituale del 2013 potrebbe essere il seguente: tutte le volte che stiamo per bestemmiare tra i denti, a fronte di una richiesta di esame che ci sembra assurda, pensiamo a quante altre volte il clinico ha smadonnato perché il nostro referto era superficiale, non conclusivo e magari anche parecchio ispirato alla più  becera paraculaggine. Potrebbe essere un buon punto di partenza per migliorare i rapporti reciproci e far finta che tutti, e tutti insieme, stiamo viaggiando verso una meta comune: il paziente.

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