In questi giorni, per questioni diciamo così istituzionali, sto approfondendo temi di natura gestionale. Ed è tutto molto bello: la questione dell’appropriatezza, la centralità del paziente, l’equità delle risorse sanitarie, la loro sostenibilità a fronte di un crisi strutturale come quella che stiamo vivendo. Ogni passaggio, ogni singolo passaggio di qualunque questione in ambito sanitario è filtrata alla luce del paziente (cliente, utilizzatore, output, chiamatelo come volete). Non esiste nulla in ambito gestionale sanitario, dalla qualità dei servizi erogati alle modalità di comunicazione, che non abbia come fine ultimo il paziente. Insomma, la sanità del terzo millennio sulla carta ha mille problemi, ma a quanto pare non l’attenzione ai bisogni sanitari dei cittadini.
Così, mentre leggevo, mi son fatto una domanda: ma se tutto gira intorno all’utente, se il rapporto medico-paziente si è evoluto passando dal vetusto modello paternalistico (io, medico, sono l’unico detentore della conoscenza e decido io cosa è giusto o sbagliato per te) a quello moderno partecipato (io, medico, ti propongo la mia strategia; tu, paziente, la valuti e decidi se accettarla o meno sulla base delle tue personali preferenze o persino se avanzare proposte alternative), se i politici nazionali promettono mari e monti e quelli regionali si cavano il pane di bocca pur di garantire l’accesso a liste di esami in orari che fino a qualche anno fa avremmo ritenuto quantomeno improbabili, perché non è mai esistito a memoria d’uomo uno scollamento così evidente tra mondo sanitario e cittadini? Perché la gente nutre così tanto astio per i medici e l’isolato episodio dì malasanità fa molto più rumore di tanta onorevole buona quotidianità?
Come tanti miei colleghi, anche io ho pensato per anni che l’incremento costante delle cause medico-legali avesse a che fare con una involuzione culturale complessiva della popolazione, in virtù della quale fosse tornata a vigere la legge del più forte o del più furbo; e che la situazione fosse aggravata da una abominevole crisi economica che ha affamato famiglie e singoli, con meno scrupoli da parte di tutti se alla fine c’è la possibilità di un qualche tornaconto economico. Ma forse mi sbagliavo.
Le persone possono essere disinformate, e in larga misura è così, ma non sono stupide. La costanza con cui annualmente aumenta il ricorso agli esami strumentali, giusto per restare a casa mia, testimonia non solo il declino intellettuale di medici che hanno ormai abdicato all’esercizio della nobile arte in cui si sono formati ma anche una fiducia nelle potenzialità della medicina che si rinnova con sempre maggior vigore, e nonostante le campagne terroristiche di certa stampa.
Allora, forse, bisognerebbe cercare il momento di rottura altrove, e non dove ci siamo abituati a cercarlo. I pazienti non sono esasperati dai tempi di attesa: qualunque sia il suo lavoro, l ‘uomo della strada sa bene che non esiste una congiura medica con lo scopo recondito di danneggiarlo in ciò che ha di più importante, cioè la salute. Si rende perfettamente conto degli sprechi, dei tagli lineari alla cazzo di cane che sono stati perpetrati negli ultimi anni in sanità, dei sotto-organico cronici nei reparti ospedalieri. Il medico non è un suo nemico: semmai è anch’egli una vittima di un sistema politico aberrante che ci sta conducendo diritti verso la rovina. Se ce l’ha con lui, non è per quello che fa ma per quello che non fa più: ascoltarlo con empatia, con compassione, realizzare che quel paziente non è l’ennesima rottura di palle della giornata ma un essere umano impaurito che ha bisogno di conforto, prima ancora che fisico, spirituale. È questo che a noi medici non viene perdonato: la distanza umana che mettiamo tra noi e chi abbiamo in cura e l’insincerità di certi nostri comportamenti improntati al più bieco corporativismo, come quando commettiamo un errore e costruiamo castelli di tesi insostenibili per negarlo. Laddove studi su studi dimostrano che l’ammissione sincera del proprio sbaglio, piuttosto che aumentare l’incidenza delle rivalse medico-legali, le abbatte oltre ogni immaginazione.
Però c’è una cosa che l’uomo della strada ignora o trascura: i medici non sono sempre stati così distanti dai pazienti, è vero, ma d’altro canto l’ospedale non è mai stato così simile a un opificio, a una fabbrica sanitaria in cui non vengono curate persone ma solo erogate nude prestazioni. Ignora l’esasperazione del medico che si vede sistematicamente sottratto il tempo necessario a parlare con il suo paziente in nome di una corsa al numero delle prestazioni e alla riduzione delle liste di attesa. Il paziente ce l’ha con la sanità perché si rende perfettamente conto, e se non lo realizza coscientemente lo avverte comunque nel profondo delle viscere, che ai politici e agli amministratori ospedalieri e ai medici stessi, al di là delle formule di rito buone per la prossima campagna elettorale o per la cena di bilancio di fine anno, gliene fotte poco o nulla della salute sua e dei suoi cari. Il paziente capisce bene che siamo tutti protesi verso un obiettivo, e che quell’obiettivo non è il suo benessere psico-fisico.
E allora quando è accaduto il peggio, quand’è che noi operatori sanitari abbiamo perso la gioia e il tempo di occuparci del nostro prossimo, quand’è che le logiche distorte di certa politica deteriore hanno tolto ai nostri amministratori la soddisfazione di un lavoro ben fatto, della costruzione di una squadra valida, della progettualità sulla lunga distanza che non abbia come obiettivo il bilancio di fine anno? Sono queste le domande che dovremmo porci, se abbiamo a cuore il nostro lavoro e la salute del nostro prossimo: e si tratta di domande etiche, non gestionali.
Perché ci siamo tutti fissati con il management, il governo clinico, la gestione del rischio, la qualità percepita, e abbiamo perso d’occhio l’unica verità indiscutibile: che l’aspetto gestionale viene sempre dopo quello etico, e che l’etica è la base di ogni consorzio umano degno di questo nome. Altrimenti le formule rimangono tali, i risultati restano senza significato pratico e la società e il mondo, presto o tardi, salteranno per aria.