Ieri sera, al Seat Music Awards, per festeggiare i 40 anni passati dal Sanremo in cui si era esibita proprio con quella canzone, Loretta Goggi ha cantato “Maledetta primavera”.
Quando mi sono accorto che quella donna di straordinario talento stava cantando in playback ho pensato: Che peccato. Perché qualsiasi versione live, anche la più sgangherata, sarebbe andata meglio del playback e avrebbe reso a questa artista incredibile l’onore che merita. Ma poi la gente dell’Arena si è messa a cantare in coro con lei, lei si è commossa e, santo cielo, ho pensato prima di cambiare canale, si tratta pur sempre di una donna di 71 anni che ha smesso di cantare da tempo, e chi se ne frega se torna sul palco solo per un playback. Lei, che ai suoi tempi era una showgirl capace di far tutto come nessun’altra: cantare, ballare, recitare, imitare.
Stamattina scopro invece che il popolo dei social non l’ha presa bene. Vi risparmio il coro di offese, che si è sovrapposto a quello più benevolo dell’Arena di Verona, e che a quanto pare l’ha spinta a ritirarsi definitivamente dai social, e vi invito invece a considerare tre possibili passaggi per avviarci a una ragionevole guarigione dalle psicosi collettive di questo periodo.
Il primo, obbligato: evitare gli estremismi. Sia quando mettiamo qualcuno sul palcoscenico che quando decidiamo di tirarlo giù a qualsiasi costo: il nostro prossimo, famoso o meno, ci somiglia molto. E tutti soffriamo molto quando ci sentiamo trattati ingiustamente oppure offesi senza motivo. Pensate a come vi sentireste se qualcuno, facendo il vostro nome e cognome, scrivesse su Facebook che la sera della festa di vostro cognato eravate vestite come Moira, la tigre del ribaltabile. O che andasse in giro a dire che sul posto di lavoro valete poco più di zero (e talora si potrebbe, ah, se si potrebbe).
Il secondo: riconoscere il talento altrui e confrontarlo con il nostro, che in genere è molto meno ipertrofico, senza provare vergogna. Si può essere soddisfatti della propria esistenza anche quando si è illuminati di luce riflessa: se la vita non vi ha regalato talenti degni di nota cercate almeno di essere brave persone, che sarebbe già tanto.
Il terzo, più difficile di tutti: evitare di manifestare pubblicamente la propria idiozia. Nel 1981, anno in cui la canzone fu presentata a Sanremo, qualcuno ebbe l’incredibile idea di querelare la Goggi con la seguente motivazione ufficiale: «Con la sua canzone ha buttato fango sulle stagioni e praticato un danno incalcolabile ai bambini, perché chiama “maledetta” la primavera, distruggendo ai loro occhi l’immagine della stagione più bella». Come vedete, insomma, gli imbecilli esistevano anche prima dell’era dei social. Il guaio è che prima si trattava di schegge impazzite delle quali si poteva ridere benevolmente; mentre adesso anche loro hanno un palcoscenico dal quale esibirsi e in gruppo, perché solo in gruppo le iene sono capaci di muoversi, riescono a produrre i danni ingenti a cui assistiamo ogni giorno, increduli e impotenti.
La canzone della clip, contrariamente a quanto tutti vi sareste attesi, non è “Maledetta primavera”. Ho scelto invece “A cosa pensano”, di Alice, tratta dall’album “Azimut” (1982). In quegli anni Alice era al massimo della sua carriera: brava, magnetica, affascinante, la guardavo dal basso dei miei tredici anni con la mandibola che mi pendeva come un australopiteco. Peccato non averla mai potuta incontrare per dirglielo: ero innamoratissimo di lei.