Ci levano la dignità. Ci abbassano lo stipendio. Non ci rinnovano il contratto. A volte, ma neanche tanto a volte, ci trattano come criminali incalliti, e finiamo sulle prime pagine dei giornali.
Ci dicono che gli infermieri e i tecnici possono tranquillamente fare il nostro lavoro. Ci urlano in faccia che non è possibile che il bisnonno centenario possa non superare l’intervento chirurgico in urgenza, alle tre di notte. Ci tolgono la possibilità di fare carriera, anche quella misera, anche quella di secondo livello. Ci impongono le 48 ore settimanali perché l’Europa lo vuole, e poi si lamentano perché non siamo mai in ospedale e magari invece qualcuno, fuorilegge peggio dei mafiosi, lavora fuori timbratura per non restare indietro con i tempi di consegna dei referti o per non trascurare i pazienti ricoverati nel suo reparto. Ci infamano perché l’ecografia è a sei mesi, ma con lo stesso medico in libera professione anche domani: e ignorano che quel domani è il nostro tempo libero, vale un tozzo di pane e peraltro, ormai, è pure razionato.
Ci hanno abbassato le pensioni, e i più giovani di noi una pensione non l’avranno probabilmente mai. Ci costringeranno a lavorare fino a 70 anni e oltre, quando invece che chiuderci in stanze buie dovremmo portare i nipoti nei parchi giochi e goderci il sole del primo mattino. Ci hanno fatto studiare dieci o undici anni e poi ci hanno guardato, per un’eternità di tempo, come gli sfigati che invece di cominciare a lavorare a quindici anni, e foderarsi le budella d’oro frodando il fisco, avevano perso gli occhi sui libri.
Poi un giorno la segretaria arriva in studio con un bel sorriso, e ti consegna una lettera. Che fa così: In seguito a un’ecografia di controllo (addome completo) desidero segnalare l’attenzione professionale e la cortesia riscontrata sia del medico che del tecnico. La celerità di consegna del referto è stata molto apprezzata. Ringrazio e porgo i miei più distinti saluti.
Così, ogni tanto, la giornata è salva. E ancora più salva sarebbe se, a fronte di tutto il resto di cui si è già parlato, a noi medici (e ai tecnici, e agli infermieri) arrivassero più lettere d’amore come questa. Prima di uscire dal reparto di Radiologia, o da qualsiasi altro reparto, perdete cinque minuti del vostro tempo e raccontateci non solo cosa è andato male ma anche cosa è andato bene. Il famigerato ufficio relazioni con il pubblico, in teoria, servirebbe anche a questo. E noi andremmo in giro con quel sorriso ebete, così bello, che ormai si vede così di rado sulle nostre facce.