Vi invito calorosamente a leggere un articolo pubblicato di recente su Bergamo Post e redatto da un giornalista che, una volta tanto, non fa controinformazione sanitaria terroristica ma si limita a constatare quello che di regola accade nel Pronto Soccorso dei grossi ospedali italiani: intasati non tanto e non solo da reali urgenze, come vorrebbe il buon senso civico, ma da persone che provano a (cito testualmente) “risparmiare sul ticket del prelievo o dei raggi, saltare la coda, non perdere la giornata di lavoro o avere un secondo parere rispetto al medico di base”.
Nessuna di queste quattro motivazioni, giusto per dare una risposta alla domanda finale del solerte giornalista, è degna di un paese civile: mettono solo a nudo il nostro scarso senso civico (per esempio, è lunga la mia collezione personale di rx spalla per “periartrite” -sic- alle cinque del mattino) e le incredibili lacune del nostro sistema sanitario.
E tra tutte, perdonatemi se mi accanisco ma non posso proprio farne a meno, la richiesta al Pronto Soccorso del secondo parere rispetto al medico di base: come al solito è lì, nella cosiddetta Medicina Generale, l’anello debole della catena. Prima qualcuno deciderà di metterci le mani, ammesso che la cosa sia ritenuta possibile, e prima noi operatori sanitari potremmo risollevare la testa.