Era da qualche tempo che ogni mattina, di turno in pronto soccorso, finivo per indignarmi. Insomma, tutti quei pedoni e quei ciclisti messi sotto dalle auto: pedoni sulle strisce pedonali; ciclisti nelle loro corsie preferenziali spesso e volentieri occupate dal Suv di turno, il cui proprietario non ha trovato forza e tempo di parcheggiare dove si conviene. E quintalate di ossa rotte, anziani costretti a una prematura dipartita, giovani sterminati nel fiore degli anni, mamme piangenti, telai di biciclette spezzati, con le ruote che ancora girano a vuoto quando arriva l’autoambulanza.
Ma c’è una cosa che non vi ho detto: da quando mi sono trasferito nella città in cui lavoro (si parla ormai del 2005) io guido pochissimo. Vado al lavoro a piedi o in bici, e quando vado in bici sto ben attento a evitare le rotonde della morte perché temo che prima o poi è là che si compirà il mio destino. Poi mi capita di dover guidare, ogni tanto, e allora mi si rinfresca la memoria.
I ciclisti, è vero, hanno perso giurisdizione (se mai l’hanno avuta) sulle piste a loro dedicate. Ma è anche vero che il bravo ciclista è refrattario a qualsiasi segnaletica stradale e a qualunque regola di buon senso: sensi unici percorsi al contrario, marciapiedi assimilati a piste ciclabili, non uno straccio di luce di posizione neanche nelle notti senza luna piena, anziani al limite della disabilità e dell’ischemia miocardica che arrancano sui pedali sbandando da un lato all’altro della strada. E il pedone? Il pedone forse è ancora peggio: attraversa a strada dove gli pare, un chilometro lontano dalle strisce pedonali, e lo fa con passo svogliato, indolente, guardandoti male se solo provi a ricordargli a colpi di clacson che si trova in mezzo alla carreggiata e non in riva al mare a godersi il solleone. Il pedone ha difficoltà a riconoscere i colori: il rosso dei semafori non è per lui, ovvio, ma solo per le automobili. Di fronte alla stazione tutti i pedoni passano con il rosso e le macchine sono costrette a inchiodare per non falciarne a decine: e io non vivo in una città dal traffico storicamente indisciplinato, come da queste parti si potrebbe pensare (e stolidamente si crede, sentendosi immuni dalle critiche).
Come conseguenza di queste riflessioni, quando sarò di turno in pronto soccorso smetterò di indignarmi. Quando sarò chiamato in causa per l’ecografia o la TC al passante/ciclista investito farò il mio esame, stilerò il referto e poi andrò diritto in sala d’attesa. A porgere conforto morale al povero automobilista: che forse senza nessuna colpa si trova in mezzo a un mare di guai.