Cosa c’entrano i medici con il caso Cucchi? (un post di Giancarlo)

di | 7 Giugno 2013

Oggi vi presento un altro collega radiologo che ha accettato di collaborare con il blog: il suo commento alla tremenda sentenza sul caso Cucchi ha profondi addentellati con la sua esperienza personale, che è poi quella che tanti di noi condividono o hanno condiviso in passato (oppure che prima o poi condivideranno, mi viene tristemente da chiosare). Ve lo presento, si chiama Giancarlo ed è marchigiano.

La prima reazione è come aver ricevuto un colpo in testa, per intenderci il trauma contusivo-commotivo tanto caro ai nostri colleghi di PS quando ci appioppano la solita TAC. Chi l’ha provato non lo dimentica. Voglio dire, torni a casa magari in una splendida giornata di ottobre, contento per aver fatto il tuo lavoro e l’angolo di una busta sporge dalla cassetta delle lettere. Apri in fretta perchè ti vuoi sdraiare in poltrona e fumarti la agognata pipa, ma ti blocchi folgorato: la busta ha l’intestazione di uno studio legale. Cazzo…

Apri e “…con la presente la informiamo ecc. ecc. PROCEDURA PENALE nei suoi confronti”.

Ecco, d’ora in poi potrai dire che la tua vita la puoi considerare divisa in un “prima” e in un “dopo” da quel momento spartiacque, ma questo lo penserai poi. In quell’istante senti solo un silenzio intorno a te, come se anche la natura avesse rispetto del tuo strazio interiore.

Tralascio le esperienze personali, non sono importanti in questo caso, dico solo che la sentenza Cucchi ha risvegliato in me ogni istante di quella esperienza passata. Primo di tutti, da medico e da uomo, il dolore per una vita giovane spezzata. Ogni uomo non è un’isola come diceva John Donne e ogni perdita impoverisce l’intera umanità. Ma sono uomo e anche medico, così il mio pensiero va anche a quei colleghi che hanno fatto la mia stessa trafila per un fatto infinitamente più grave della mia “frattura misconosciuta di capitello radiale”, con conseguenze infinitamente più pesanti dal punto di vista professionale, fisico, spirituale ed umano.

Anche perchè mai come in questa situazione il puzzo di capro espiatorio è stato così ammorbante. Si è voluto vedere scorrere il sangue. Chi incolpare?

Non certo la famiglia, povere persone che il dolore ha reso furenti e incontrollabili. Nessuno si sente mai colpevole dei propri fallimenti. Non i genitori, che non hanno saputo o potuto crescere un figlio al verso. Non la sorella, figura di una tragicità scespiriana, oggetto di un tentativo di strumentalizzazione politica del dolore già andato a buon fine nel caso di lanciatori di estintori.

Chi allora? Le forze dell’ordine, certo, sono appena un gradino sotto noi medici nello sputtanamento di categoria. Solo che loro, in quanto a dignità e spirito di corpo ci battono di una pista e mezzo. Intendiamoci, non sono uno che strilla a ogni buffetto o manganellata data per il verso giusto, un pugno in faccia lo avrei tirato anche io ai brigatisti che hanno seviziato l’ingegner Taliercio (se lo ricorda nessuno? Chi l’ha ammazzato oggi concede interviste…).

Ci hanno provato a mettere in mezzo le guardie carcerarie: secondo i familiari di Cucchi e buona parte della stampa sono stati dei pestatori spietati e poco importa delle perizie che li scagionano.

Allora ci sono i medici. Venghino signori, tre palle un soldo, smerdiamoli pure quegli incapaci superpagati. Fateci caso: in ogni delitto veniamo tirati in causa da manipoli di laureati di massa in Legge per difendere gli indifendibili. Tiri un pugno alla stazione a una rumena e quella ci resta secca? Colpa della Rianimazione che non l’ha curata bene. Nella mia città un dominicano muore accoltellato da un connazionale e per un laureato al CEPU la colpa è dei miei colleghi chirurghi che non hanno tamponato bene la ferita al torace (sic), quando la cavità toracica può contenere dodici litri di sangue.

Sotto con i medici, allora, e prima parlavo di spirito di corpo. Beh, signori, permettetemi di dire che i peggiori nemici di noi medici sono i medici stessi. CTU che per ingraziarsi il giudice di turno e far vedere quanto sono inflessibili, mandano colleghi sotto processo (il mio è durato tre anni) dopo aver pontificato su radiogrammi fatti vedere a ortopedici per un parere orale e, conoscendo in anticipo il risultato, fanno i fenomeni in aula. E quando gli poni quesiti su aspetti tecnici ti rispondono: “Non sono un radiologo”.

Questo è come noi medici siamo trattati nelle aule di tribunale, per cui, a prescindere e con una certa faziosità, sono vicino a quei colleghi buttati in pasto al pubblico ludibrio, come se non ci riempissero la testa ogni giorno che non si può imporre una terapia, neanche la alimentazione forzata a un paziente che non le vuole (ricordate Eluana?).

Il tutto, poi, condito da insopportabili mistificazioni, come voler far credere che il ragazzo, prima, fosse in perfetta salute, quando anche per uno studente del primo anno dovrebbe essere lampante il trovarsi di fronte ad un caso gravissimo di denutrizione da probabile anoressia peggiorata da uso continuo di stupefacenti. Quindi, omicidio colposo, come se quei medici, loro sotto effetto di droghe, avessero investito un povero innocente sulla strada.

È proprio vero, come diceva un noto medico difensore della categoria, che, comunque vada a finire questa storia, nelle vicende medico legali c’è chi può vincere o perdere (i denuncianti), chi vince sempre (avvocati e periti) e chi, come i medici, perde sempre.

(Giancarlo)

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