Credo che ci sia un tempo giusto per ogni cosa.
Un tempo adatto a urlare e a lamentarsi perché, semplicemente, è così difficile andare avanti in quel modo lì e non ne puoi davvero più. Ma anche un tempo adatto a far sorridere qualcuno che non sorrideva da tempo, e godersi quel sorriso come un regalo di Natale arrivato fuori tempo massimo. C’è un tempo buono per fermarsi a guardare fuori dalla finestra, con in mano una tazzina di caffè caldo, e pensare che sta per piovere e che da soli si sta così bene, certe volte. E poi c’è un tempo strano che corri, tutto il giorno, come una trottola: e a fine giornata hai ancora più energie della mattina, e andresti persino a passeggiare se fuori non minacciasse pioggia.
Quando avevo otto o nove anni mi accorsi che esistevo. Si, lo so, detta così sembra banale. Però pensateci per un attimo: pensate a un bambino che si lascia vivere, o lascia che la vita gli scorra dentro perché il suo unico impegno è crescere il più velocemente possibile, e che un giorno apre gli occhi e scopre che esiste. Non so voi, ma io a otto o nove anni ero molto più saggio e illuminato di adesso. Più determinato, più certo del mio futuro. Probabilmente ero una persona migliore: e non perché a otto anni non avevo ancora avuto il tempo di sporcarmi le mani. Semplicemente, sapevo tutto. Mi sapevo. Non c’era bisogno di tante parole. Camminavo per strada e già subodoravo, senza realizzarlo appieno, il movente che avrebbe reso complicata la mia futura esistenza: ognuno di noi ne ha uno, di movente. Il difficile è scoprirlo, per prima cosa, e poi non avercela più di tanto con chi ti ha permesso di scoprirlo. Le persone si incontrano per un motivo preciso, arrivano al momento giusto per impartirti la lezione di cui hai bisogno e poi magari scompaiono quando sei pronto: se di moventi ne abbiamo uno solo, di maestri invece ne abbiamo tanti. E anche questo è amore, direbbe il poeta.
Io non vi rivelerò il mio movente: perché un po’ me ne vergogno, anche se non tanto. Perché l’ho scoperto da così poco tempo. Perché è il segno della mia enorme fragilità di uomo. Perché il proprio movente è, come suggerisce il termine, ciò che ci muove verso noi stessi, verso il superamento dei nostri limiti personali. Posso dirvi però che ancora mi stupisce il modo in cui, cambiando prospettiva, le cose della vita mutano il loro aspetto. Non diventano migliori o peggiori: solo diverse. L’unica cosa che rimane uguale è il movente. Ma quello si può individuare, con un po’ di fortuna e di sofferenza. E ridimensionare, per quanto è possibile.
E adesso, scusatemi, me ne vado a dormire. Voglio infilarmi sotto il piumone e ricordarmi di me a otto o nove anni, che sogno il mio futuro appena prima di prender sonno. Credo che stia per piovere, oggi: a distanza di così tanti anni, non esiste sonnifero migliore del rumore delle gocce di pioggia sulla ringhiera di un balcone. Vi auguro con tutto il cuore di intuire il vostro, di movente, e di imparare a conviverci. In qualche modo che dovrete imparare, prima o poi. Come ho fatto io.
Buonanotte.
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