Un articolo di oggi sul quotidiano online “Open” racconta in termine abbastanza chiari il perché la regione Lombardia, alle soglie della paventata seconda ondata di CoVid, si stia avvicinando a un collasso molto simile a quello sperimentato sulla prima.
In buona sostanza, due noti economisti (Boeri e Perrotti) affermano che già a metà della prima ondata la regione aveva previsto un bonus per quei dirigenti che avessero predisposto un piano di recupero per le prestazioni ambulatoriali sospese e rimandata in seguito all’emergenza CoVid-19. I manager ospedalieri, insomma, avrebbero dovuto raggiungere “una produzione pari ad almeno il 95% di quella del secondo semestre 2019”. Perché? Perché il raggiungimento di quell’obiettivo avrebbe inciso per il 25% della valutazione finale del Direttore Generale, e quindi della corresponsione del relativo premio di produzione. Di conseguenza, si legge nell’articolo, i reparti CoVid sono stati prontamente depotenziati e non si è proceduto né ad assumere e formare nuovo personale sanitario né ad aumentare il numero dei posti letto in terapia intensiva (che avrebbero dovuto arrivare, secondo indicazioni governative, a 1446, e invece sono solo 983).
Adesso, come è ovvio, non è facile emettere giudizi trancianti sull’argomento: le cose potrebbero essere diverse da come sono state poste, la regione Lombardia potrebbe (giustamente) difendersi fino alla morte respingendo le accuse e giustificando in modi alternativi i numeri esposti nell’articolo, eccetera eccetera. Però, fatta la tara dei soliti giochini all’italiana sullo scarico di responsabilità e sull’applicazione della legge di Volga, e ammettendo per puro gusto di speculazione intellettuale che qualcosa di vero nell’articolo ci sia, vi propongo le seguenti riflessioni.
- Ricordate le voci sanitarie lombarde che con sesquipedale insistenza rassicuravano il volgo circa la morte clinica del virus? Adesso avete capito da quale stazione radio erano eterodirette e qual era il messaggio in codice implicito in quelle frasi. Tornate pure a operarvi in Lombardia! Non c’è più pericolo per nessuno!
- Non si può trattare un’Azienda sanitaria come se fosse pubblica, quando conviene che sia pubblica, e come privata quando conviene che sia privata. Anzi, se posso dirla tutta la sanità pubblica dovrebbe essere trattata come un servizio pubblico dovuto a cittadini che pagano le tasse, e non come un’impresa privata il cui bilancio deve per forza essere positivo. La sanità di un paese come il nostro, finché non si decide che il modello universalistico corrente è il male e va modificato (parliamone, potreste persino trovarmi d’accordo), deve essere considerata in perdita. O almeno in pareggio. Altrimenti a pagarne le conseguenze è la qualità del servizio erogato, che poi aumenta inevitabilmente i costi con una serie di meccanismi a cascata che non sto a spiegarvi nel dettaglio ma che sono facilmente intuibili. Questo lo capirebbe anche mia figlia di 12 anni, figuriamoci un politico dedicato alla salute o un manager: ecco perché risanare i conti serve a poco, se poi ti ritrovi senza il materiale umano per far funzionare la baracca.
- Appunto, il politico. L’articolo punta il dito contro i Direttori Generali delle Aziende ospedaliere, che sono emanazioni dirette della politica regionale. Se a qualcuno non dovesse essere chiaro, lo dico io oggi: a quelli livelli non c’è spazio per la contrattazione. Se la Regione dice di saltare, tu devi saltare. Se dice di star fermo, tu stai fermo. Non è questione di ricevere o meno il premio di produzione, che messa così fa di questi uomini nient’altro che avidi mercenari pronti a tutto per il vil danaro: la questione è che se non stai alle regole, semplicemente, vieni fatto accomodare fuori dalla stanza dei bottoni. Tanto, se va male, è già pronto un sostituto che scalpita per prendere il tuo posto ed eseguire alla lettera gli ordini del capo.
Insomma, questa è la situazione. Avete voluto la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha trasformato gli oscuri Presidenti di regione in onnipotenti Governatori con potere di vita e di morte sui sudditi? Bene, adesso ve li tenete.
La canzone della clip è Masterpiece, singolo di esordio di Gazebo (1982). Omaggio ad anni felici in cui nulla di quello che sta accadendo adesso avrebbe potuto essere nemmeno lontanamente immaginabile.