C’é poi, però, anche l’aspetto deteriore della faccenda: quelli che non incontri al congresso nazionale. Magari perchè, semplicemente, non ci sono più: i casi della vita, per usare poche e semplici parole, te li hanno portati via.
Oppure, meno drasticamente, perché non hai voglia di incontrarli: io lo dico spesso, la vita ci conduce in direzioni differenti e quando ciò accade, generalmente, alla base ci sono sempre validi motivi.
E poi ci sono quelli che non vuoi incontrare perché incontrarli ti arreca, più che fastidio, vero e proprio dolore. Sono quelle persone con cui c’è stato qualcosa di molto speciale e spesso anche imprevisto: un incontro che per entrambi è stato foriero di buoni sentimenti e buone idee, progetti condivisi in tutto e per tutto perché ti sembrava di parlare la stessa lingua e di intravedere limpidamente il futuro (e magari, perché tutti abbiamo un nucleo di stolida presunzione, di vederci in modo più chiaro degli altri). In questi casi, qualunque sia stata la causa del dissapore, il tempo ti mostra con chiarezza che l’allontanamento reciproco alla fine genera più perdita che sollievo. Con il tempo inizi a pensare che, qualunque sia stato il fattore scatenante della contesa e per quanto tu possa credere di avere ragione, in realtà il litigio ha portato una sola inevitabile conseguenza: che un sacco di bei progetti non sono stati portati a termine. E mai lo saranno, purtroppo: con enorme perdita di tutti, non solo dei due contendenti.
Tutto questo l’ho pensato oggi, mentre ero a zonzo nella libreria scientifica del congresso, guardando la copertina di un libro appena pubblicato e ricordando tutti i momenti in cui si era parlato, con l’autore, dell’argomento. Seduti al tavolo di un bar, per esempio. O con lunghissime e-mail tra grafomani, scritte in ritagli di tempo rubati al sonno e al lavoro istituzionale.
Alla fine, il rammarico che nutro è proprio questo: il senso di una grande occasione perduta. Un’occasione intellettuale più che affettiva, forse. Ammesso che le due cose possano essere scisse: che a volte, credetemi, è impresa davvero difficile.