Dentro il fosso a testa in giù

di | 22 Novembre 2012

Ha un sorriso indecifrabile, il signore che mi entra in sezione ecografica. Indecifrabile perché nasconde, in modo disordinato, l’amarezza che trasuda dal suo sguardo. Mentre faccio scorrere la sonda sulla sua pancia lui, miracolo che ogni volta mi sorprende, comincia a parlare. E mi racconta di come lui e sua moglie avessero cercato per anni di avere un figlio. In qualunque modo, sacrificando lavoro e carriera: tutto, insomma, pur di vedersi girare per casa un frugoletto dolce e sorridente.

A un certo punto avevano perduto qualsiasi speranza: ma il Grande Sceneggiatore, i cui progetti a volte travalicano persino le nostre più ardite speranze, ha una sorpresa in serbo per loro. La moglie aspetta un bimbo. Una gravidanza difficile, portata avanti tra mille difficoltà, ma portata a termine. Il bimbo nasce, la casa si illumina di amore, le loro vite pure. Eppure, dopo qualche mese, il bimbo si ammala. La malattia dura poco, il bimbo combatté come può ma alla fine soccombe al male. Sei mesi. Pochissimo.

Eppure il papà, mentre mi narra la sua storia, continua ad avere quel sorriso indecifrabile sul viso. Io non resisto, gliene chiedo il motivo. Lui mi guarda e dice: Mio figlio sarebbe potuto non nascere e io non avrei avuto quella grande gioia. È stato un privilegio averlo, anche solo per sei mesi. Io mi sono commosso: di fronte a un punto di vista che mi ha letteralmente spiazzato. Qualcuno crede che a un certo punto si muoia, come se si spegnesse la luce cliccando su un interruttore. Qualcun altro crede che finiamo solo per vibrare su una frequenza più alta, che per il resto non cambi nulla nella nostra scintilla vitale. Io non so a cosa credere: però credo che dei nostri atti, e dei nostri sentimenti, rimangano echi eterni. E che nulla muoia, se noi non lo desideriamo: basta solo saper ascoltare.

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