Non per essere scontato e banale, ma la vita va a periodi. A stagioni. A fasi alterne.
Ogni volta che credi di essere giunto a destinazione scopri che in realtà si tratta solo di una tappa intermedia, sovente nemmeno tanto bella da visitare. Ogni volta che fai un progetto di vita, che disegni uno schifo di cronoprogramma (scusatemi per il termine osceno, ma ormai sono entrato nel tunnel della terminologia operativa della pubblica amministrazione), qualcosa gira in un verso inatteso. E così ti ritrovi a pensare: ma se le cose fossero andate come io volevo, adesso dove sarei? E a far cosa?
Il problema è che il potenziale futuro di ognuno di noi ha troppe variabili: troppe, per poter essere espresse in un’unica equazione dal risultato plausibile. Senza contare che le deviazioni dal progetto iniziale magari hanno portato più cose buone che cattive, un naufragio sulla lunga distanza può essersi rivelato un salvataggio in extremis e un successo inatteso, al contrario, la tua Waterloo. E senza contare che, comunque vada a finire, avrai attorno gente contenta e gente scontenta: nell’incapacità di far contenti tutti, diceva qualcuno, anche quelli che capiscono fischi per fiaschi e pensano che ogni tua frase criptica sia rivolta a loro mentre tu li hai già riposto il loro ricordo nel luogo più lontano possibile della tua memoria, tanto vale fare quello che ti va.
Il tutto per dire che mentre la sanità pubblica italiana annaspa, in preda agli ultimi spasimi che precedono una ormai ampiamente prevista implosione terrificante tipo torri gemelle, in troppi si stanno preoccupando dei massimi sistemi come i musicisti del Titanic la notte del naufragio e soltanto gli ultimi impavidi eroi rimasti stanno pensando di non saltare il fosso e di restare in trincea a combattere fino alla morte, basta la telefonata a un caro amico per riportare tutto nei binari di una pacifica accettazione dello stato delle cose: perché altrove, non molto lontano, tutto è molto peggio e allora conviene togliere dal naso quegli occhiali che mostrano il mondo come si vede guardandolo dalla parte sbagliata del telescopio e rendersi conto che c’è vita, si, c’è ancora qualche tipo di speranza, e soprattutto c’è chi sta molto peggio di te. E che, come dice una persona che in questo periodo mi sta dando una grossa mano, l’ottimismo di fondo non me lo farete perdere mai.
Mal che vada, affonderemo danzando. Come sul Titanic, appunto.