Stamattina un collega gastroenterologo ha dato fuoco alle polveri di una mattinata parecchio difficile, in cui il mio turno in TC è pian pianino diventato un turno di segreteria telefonica; ma questo è un altro discorso e lo affronteremo un’altra volta. Dicevo invece del mio collega gastroenterologo, che alle otto in punto mi chiede se posso aggiungere alla lista di lavoro una colon-TC: il giorno prima ha praticato una colonscopia a una paziente, non è riuscito ad arrivare dalla parte opposta della oscura galleria e adesso desidera mettere la parola fine alla questione. Non so perché abbia così tanta fretta: se dovessimo completare in TC le colonscopie incomplete, il giorno successivo, buonanotte al secchio. Ma io sono abituato a discutere poco se il collega è stimabile, gentile, disponibile e abituato a chiedere per favore.
Lungo il corridoio il mio collega lo ripete più volte: Storie come questa dovrebbero finire sul giornale, altro che malasanità. Quando entriamo insieme nella sezione TC c’è già la paziente seduta in sala d’attesa. Il gastroenterologo la saluta e le dice: Guardi, signora, le ho portato il radiologo! E poi, rivolto al marito seduto lì accanto: Bisognerebbe scrivere una lettera ai giornali per un’efficienza di questo tipo, vero che la scriverà? Il marito abbozza un sorriso imbarazzato, annuisce, guarda la moglie con aria interrogativa.
Adesso, e ci tengo a dirlo subito, il mio collega è una cara persona. E’ un medico competente, di grande esperienza. Ed è una persona, come si dice in questo periodo, molto sobria. Uno che, per capirci, non chiederebbe mai a un paziente di scrivere al giornale locale per far decantare le lodi del suo reparto o dell’ospedale in genere.
E allora, ve lo confesso subito così mi tolgo il pensiero, la scena che vi ho appena descritto mi ha messo addosso molta tristezza. Mi sono visto con gli occhi della paziente e di suo marito: due medici ansiosi e forse anche un po’ astiosi, la cui unica soddisfazione sembrerebbe essere che qualcuno si accorga della loro cupa e infelice esistenza. E invece oggi si è compiuto per davvero un capolavoro di buona sanità: un gastroenterologo scrupoloso, forse perché preoccupato da quello che aveva intravisto con la colonscopia; un radiologo disponibile a prendere in carico la faccenda; una struttura che assorbe il peso, che talora è inenarrabile, di un esame complesso in mezzo a una lista già pressata come un uovo e con decine, giuro, decine di urgenze a far capolino dai telefoni già dalle otto e mezzo del mattino.
Quindi, devo desumere, è a questo che ci siamo ridotti? Forse la questione è più semplice di quanto io creda: toglieteci pure le possibilità di carriera. Toglieteci i congressi. Toglieteci i soldi. Toglieteci la possibilità di aggiornare il parco apparecchiature, che spesso e volentieri è vetusto e ai limiti della tollerabilità anche in un paese del terzo mondo. Ma una cosa lasciatecela: la nostra professionalità, l’amore che mettiamo nel lavoro quotidiano, la cura che abbiamo dei pazienti. Anche quando sono ingrati, o semplicemente neanche si sono resi conto di cosa gli è stato donato. In cambio di nulla.