Tra le poche certezze che non sono venute meno, quest’anno, c’è la lettura: ho cercato di leggere ancora di più di prima, se è possibile, anche se parecchie sere mi sono addormentato con il libro in mano perché la stanchezza accumulata durante il giorno era obiettivamente troppa.
Ho letto libri di storia e di economia per cercare di capire cosa sta accadendo nel mondo, e per discriminare quella sottile linea rossa oltre la quale i buontemponi urlano al “gombloddo” perché si rifiutano di guardare in faccia la realtà (oppure la realtà stessa li terrorizza).
Ho letto biografie di personaggi famosi per cercare nelle vite illustri qualche elemento che illuminasse la mia, ma vi avviso che non ci sono riuscito.
Ho letto romanzi, al solito, molti; e riletto lunghi pezzi della Divina Commedia, che quella non annoia mai.
E poi, questa sera, tornando a casa in auto, ho ricordato uno degli uomini che mi ha aiutato maggiormente ad affrontare questa lunga storia d’amore con la letteratura, l’unica che dura da una vita senza tradimenti o meschinità di vario tipo.
Era il padre della moglie di mio zio: un uomo imponente, o forse a me sembrava così dal basso dei miei quattordici o quindici anni, stempiato, elegante. Aveva una libreria fornitissima, o forse a me così sembrava perché di librerie personali non ne avevo mai avute e quella di mio padre era piena zeppa per lo più di classici latini e greci, ma di narrativa ce n’era ben poca. Venne a sapere della mia passione per la letteratura e mi invitò a casa sua. Lo ricordo seduto su una poltrona di pelle scura, nel suo studio: gli scaffali traboccavano libri, c’erano libri anche sulla scrivania e forse, ma ho l’impressione che la memoria stia ingigantendo i particolari, anche a terra, in pile ordinate.
Mi chiedeva di scegliere quattro o cinque libri per volta: io mi aggiravo titubante per la stanza, con il viso sollevato per arrivare con lo sguardo alle ultime file in alto, e ogni tanto buttavo lì qualche titolo che mi aveva impressionato. Lui non commentava le mie scelte, si limitava a chiedere in cambio del prestito che io avessi cura dei libri (ossessione che mi è rimasta ancora, e non solo per i libri prestati) e, all’atto della restituzione, fossi disposto a discutere con lui i contenuti. Ecco, forse era proprio quella la parte migliore: quando ci sedevamo, uno di fronte all’altro, e parlavamo del romanzo appena letto. Lui cercava punti di vista alternativi, immagino, non inquinati dagli smaronamenti della senescenza; io cercavo un punto di vista adulto, mi sforzavo di intuire le trame che avrebbero caratterizzato la mia vita da grande senza nemmeno immaginare quanto di quei romanzi già raccontavano del mio futuro.
A volte, quando gli chiedevo libri di certi autori, diventava per un istante perplesso e nicchiava, roso dal dubbio che non fossero romanzi adatti alla mia età. In particolare, prima di avere accesso all’opera di Moravia dovetti sudare parecchio: ma è lui che devo ringraziare per aver colmato una lacuna letteraria che, probabilmente, da grande avrei trascurato. Ed è a lui che devo anche le prime riflessioni mature sul sesso, perché aver letto quei romanzi mi pose fin da subito di fronte al dilemma che sconvolge le menti degli uomini: è tutta qui la faccenda del sesso, è solo una questione di scambio di fluidi corporei o c’è qualcosa in più, e dietro quei sofisticati cerimoniali di accoppiamento si nasconde dell’altro?
Comunque sia, un giorno diventai abbastanza grande per infilare la porta di casa e prendere il largo. Prima di partire andai a salutarlo e lui si accomiatò da me con una frase che adesso vorrei tanto ricordare, ma che si è persa nelle nebbie della memoria. Il che mi riporta a un’altra frase, letta per caso mentre ero su Twitter (tweet di @PArgoneto): Se proprio non vi piace leggere state vicino a chi lo fa. Al contrario del fumo, la lettura passiva fa benissimo.
E mi riporta a dirgli ancora grazie, ora per allora, nel caso piuttosto probabile che i miei ringraziamenti dell’epoca non siano stati sufficientemente esaustivi.