E’ mentre il treno macina rotaie in aperta campagna, sotto un cielo azzurro pastello e le sue nuvolette bianco panna che sembrano disegnate da un bambino della scuola materna.
E’ mentre il sedile sussulta sotto il culo, e i ragazzi appena usciti da scuola aspettano la stazione di arrivo con la stessa fame atavica che avevi tu alla loro età, a quest’ora del giorno, quando tornavi a casa in autobus o in autostop, i libri sotto il braccio, pensando alla compagna di banco di cui eri perdutamente innamorato.
E’ quando il bigliettaio avvisa che la porta del treno è guasta e non può aprirsi, e allora gli studenti scoglionati sbuffano e cambiano ingresso; e seduto accanto a te c’è un tale con le cuffiette nelle orecchie e lo sguardo perso nel nulla, che chissà a cosa sta pensando.
Ed è proprio in momenti come questi, non chiedetemi il perché, che la sensazione di smarrita incompiutezza che da sempre mi accompagna svanisce per un attimo. Un attimo solo, ma quello che occorre: come quando il dentista ti ficca i ferri in bocca e il mal di denti, miracolosamente, è passato.