https://www.enpam.it/news/lintelligenza-artificiale-non-spazzera-via-i-medici
Mi piace riportare per qualche istante il discorso, cominciato qui, sull’impatto delle intelligenze artificiali in Radiologia.
Vi ho già detto che sull’argomento sono pessimista, se guardo la cosa dal punto di vista dell’umanissimo medico radiologo, straziato dal numero e dall’intensità delle notti di guardia, o ottimista, se la guardo dal punto di vista del futuro e infaticabile robo-radiologo.
Prendo spunto, per concludere il ragionamento, dell’editoriale prodotto nell’ultimo numero della rivista previdenziale medica italiana dal presidente, Alberto Oliveti. Il quale esordisce con la seguente, illuminante frase: (…) Oggi quando si parla di lavoro si sottolinea sempre di più il concetto di produttività, che non si può pensare di aumentare solo con doti umane. L’intelligenza artificiale, da molti ritenuta una minaccia, va invece considerata una risorsa, anche per i professionisti della salute (…)
Da cui deduciamo che la sfida futura non sta nella sostenibilità della sanità pubblica, come ci si aspetterebbe, ma nella crescita progressiva della produttività all’interno di un modello sanitario che ormai tutti, salvo i puri di spirito, immaginiamo senza alcuna fatica come privata e non più pubblica. La produttività: questa infernale parolina che negli ultimi lustri ha devastato le nostre vite costringendoci a orari da operai di fine ottocento. All’uopo ricordo, quando ero bambino, le esistenze felici dei mie genitori, il loro tempo libero da utilizzare in mille maniere; poi guardo me, i frammenti di tempo libero residuo che sono appena sufficienti a riprendermi dal sonno o dal mal di schiena, e mi viene da piangere.
Oliveti continua: (…) Allo stesso modo se nella pratica professionale verranno introdotte applicazioni informatiche in grado di fare diagnosi più precise e più velocemente di quanto riusciamo attualmente, non significa che come medici verremo spazzati via (…)
Il che è probabile, ma solo a patto che ci trasformiamo da medici in tecnici informatici: se l’algoritmo farà diagnosi migliori delle nostre il punto nodale non sarà più la diagnosi in sé ma la sua comunicazione ai pazienti. Prevedo quindi il proliferare di concorsi pubblici per psicologi, che all’abbondante stipendio di 8-900 euro al mese avranno l’onere di sedersi davanti a un tavolo e trovare le parole giuste per comunicare al signor Mario Rossi che, siamo spiacenti, ma dobbiamo dirle che lei ha il cancro.
E ancora il Nostro: (…) Parliamoci chiaro: oggi l’Enpam è l’ente pensionistico italiano con le riserve più elevate. Ma anche 22,5 miliardi di euro messi da parte non sono nulla se la professione cessasse di essere rilevante per i pazienti (…)
Al che forse non capisco io qual è la questione: la rilevanza della nostra professione, che è già irrimediabilmente compromessa (ricordo a tutti che il possibile rinnovo del contratto, fermo da 10 anni, prevede l’aumento di stipendio di 200 euro lordi. Il che la dice lunga su che fine faremo), o la rilevanza delle scorte economiche dell’ineffabile ente previdenziale? Mi sa che Oliveti, al contrario di quanto afferma, la foglia l’ha mangiata: quesi soldi finiranno presto e in futuro, pavento, non ci saranno più medici in numero sufficiente per rimpinguarla.
In conclusione: (…) Certo, magari cambieranno i modelli di contribuzione: in futuro per esempio la previdenza potrebbe dipendere non soltanto dalla quantità di lavoro svolto ma dalla capacità di creare valore condiviso (…)
E qui, mi dispiace, sono proprio io che non ci arrivo, che ho in mente scenari fanta-apocalittici tipo Blade Runner e che proprio non riesco a immaginare in che modo potremo coniugare la quantità di lavoro con la capacità, cito, di creare “valore condiviso”. Mi piacerebbe sapere quale cavolo di valore stiamo condividendo in questo periodo di umiliazioni professionali continue che si traducono in un fuggi-fuggi generale dagli ospedali pubblici verso un privato mediamente attento ai propri interessi, in un mercato deregolato nel quale i pesci medi stanno già mangiando quelli piccoli in attesa degli squali che divoreranno tutto e produrranno un fantastico oligopolio che già stiamo osservando in altri ambiti produttivi (il mercato dell’automobile, tipo).
Insomma, perdonatemi ma non ce la posso proprio fare. Già mi è toccato vivere tempi cupi che mai avrei potuto immaginare anche solo tre anni fa: lasciatemi almeno aspettare in santa pace il robottino che prenderà il mio posto, con buona pace di tutti, e lo squalo che divori anche me.
Ciao Roberto, sono un collega che fra poco sceglierà la scuola di specializzazione. Radiodiagnostica sarebbe la mia prima scelta, mi piace molto e sarei felice di sceglierla, ma la disoccupazione è uno spauracchio troppo grande per quanto mi riguarda; che mi consigli, dunque? Lasciare stare questa bella ma disgraziata specializzazione e indirizzarmi verso altro?
Grazie per i tuoi preziosi spunti di riflessione
Il problema non sarà la capacità di occupazione: potrai anche essere il peggior radiologo della terra, ma la carenza è tale che tra cinque anni difficilmente troverai primari schizzinosi. Il problema semmai sarà la tenuta del servizio pubblico: ma su quella nessuno è in grado di fare previsioni precise, per la radiologia come per qualsiasi altra specializzazione. Per cui ti conviene scegliere secondo gusto: sbaglierai il meno possibile.
PS Non mi chiamo Roberto. Mi viene il dubbio che la domanda tu l’abbia indirizzata all’ultimo collega che ha commentato (appunto, Roberto), nel qual caso girerò a lui la risposta.