Oggi farò outing: ebbene si, lo ammetto, io sono stronzo e presuntuoso.
Presuntuoso perché so quanto valgo: che può essere poco o molto, non importa, l’essenziale è saperlo, avere idea di dove puoi e vuoi arrivare, insomma fino a che punto puoi contare su te stesso. Opera meritoria di decenni, di una vita passata a fare il mediano e passare palloni buoni a quelli che il pallone sapevano metterlo dentro. E stronzo perché alla mia brava età non mi preoccupo più di filtrare la mia presunzione: semplicemente faccio quello che ritengo giusto. E se poi gli altri hanno qualche problema, beh, sono affari loro.
Tradotto in termini pratici, relativi al lavoro che faccio, essere stronzo e presuntuoso vuol dire che io sono lì, disponibile alla condivisione delle due o tre cose che ho imparato in questi anni e delle quali sono al tempo stesso sicuro, al punto che mi permetto persino di andare a parlarne in giro, e insicuro, perché le metto in discussione continuamente, fino allo sfinimento. Ho questa fissazione della curiosità, quando un argomento mi affascina devo conoscere tutti i meccanismi che lo regolano, comprendere l’essenza stessa della sua anima: che poi è una cosa che faccio sempre e con tutto, le persone che mi piacciono, gli autori di libri, i musicisti che prediligo. Poi, alla fine, quando lo sforzo cognitivo si è esaurito, mi resta questo gran peso sullo stomaco, questo malessere legato al fatto che tutto ciò che ho imparato è lì fermo e non serve a nessun altro che a me stesso; e allora mi prende una smania di comunicazione che chi ha seguito questo blog, negli ultimi anni, ha imparato a conoscere bene.
Ma nella mia stronzaggine e nella mia presunzione non c’è autocompiacimento, quello no. Io sono il primo a non essere contento di me stesso, a pensare che anche oggi ho guidato con il freno a mano tirato, che il tempo passa e non ho realizzato che una piccola parte dei progetti che ho in mente. La vera presunzione che ho è quella di sentire che posso far meglio di così, che non mi sono dato abbastanza alla causa che sto perseguendo. E la vera stronzaggine è quella che esercito verso me stesso: perché non sono mai completamente contento di quello che ho realizzato, e nel momento stesso in cui sto per mettere la parola fine a un progetto sono già proiettato molto oltre, sui prossimi mille. Come dice mia moglie, in definitiva, si può parlare di me come di un’anima in pena.
Per cui, e questo in risposta a una recente e-mail e a qualche osservazione personale ricevuta negli ultimi anni, forse conviene tenermi così: con i miei difetti, che sono tanti perché sono uno stronzo; ma anche con quei pochi punti forti, che la mia presunzione difenderà fino alla morte perché poi tanto stronzo non sono.