In tema di malasanità ricorrente, incubo delle notti magiche degli italiani (forse per distrarre il volgo da altri, imminenti e più gravi disastri nazionali), vi servo su piatto d’oro l’esempio pratico di come si può generare, e perseverare nel tempo, un errore medico.
Paziente arrivato in pronto soccorso per un sospetto clinico di corpo estraneo nelle prime vie digerenti (torta con le noci, ma i radiologi lo sapranno solo quattro giorni dopo).
Il gastroenterologo, dopo aver spinto in basso il corpo estraneo durante una esofagoscopia, rimanda il paziente al reparto ORL; e l’otorino di guardia, correttamente, richiede un controllo radiografico per verificare se la procedura ha avuto complicanze di sorta.
Il radiologo legge la dicitura: “bolo alimentare esofageo rimosso durante EGDS”, gli viene detto che il corpo estraneo era un guscio di noce e si preoccupa, per l’appunto, di valutare se c’è stata o meno fuoriuscita di contrasto dall’ipofaringe o dall’esofago. Il viscere non è perforato, ma un segno importante della presenza della noce non viene riconosciuto: in fondo, se mi si dice che il corpo estraneo è stato rimosso, nemmeno mi pongo il problema della sua esistenza.
Siccome il paziente continua ad avere sintomi (scialorrea, difficoltà di deglutizione), l’otorino richiede una TC: hai visto mai che sia sopraggiunta una complicazione flogistica, ossia un ascesso? Il radiologo esegue la TC (protocollo a bassa dose, che irradia meno di un esame radiografico standard con il contrasto) e vede una strana immagine in ipofaringe che sembra liquido con qualche piccola bolla aerea al suo interno. Sospetto: il corpo estraneo è stato rimosso, dunque deve essere per forza un ascesso faringeo (purtroppo, causa la nota allergia della paziente ai contrasti iodati, non è possibile completare l’esame TC dopo iniezione di contrasto in vena); magari legato all’abrasione della mucosa esofagea per il guscio di noce tagliente che è transitato da quelle parti poche ore prima.
Il giorno dopo, il paziente continua ad avere sintomatologia e torna per un altro controllo radiografico. Ancora una volta, gli si da’ da bere un contrasto liquido a base di iodio e ancora una volta l’attenzione viene centrata sull’eventuale perforazione faringo-esofagea. Non c’è spandimento di contrasto fuori dal viscere e per la seconda volta non viene riconosciuto il corpo estraneo, che è lì, bello come il sole (questo secondo controllo radiografico l’ho fatto io, per amor di verità. Mi lasciava perplesso l’evidenza che il paziente manifestasse forti sintomi da corpo estraneo in faringe -salivazione abbondante, difficoltà a deglutire- e che di contro non avesse nessuno dei sintomi che normalmente accompagnano un ascesso cervicale, primo fra tutti la febbre; ma in fin dei conti il quesito del clinico era chiaro: si sospettava una perforazione faringea, non un corpo estraneo in faringe. Tuttavia mi incolpa, in questa circostanza, l’eccesso di confidenza manifestato con l’esame contrastografico che ho effettuato: se mi fossi soffermato a riguardare le radiografie scattate, e non limitato a valutare durante l’esame la fuoriuscita o meno del contrasto forse una lampadina nella testa mi si sarebbe accesa; ma non lo sapremo mai, dunque mea culpa, mea maxima culpa).
All’atto della firma un collega di passaggio, inviato come al solito dall’angelo custode, punta il dito sul monitor e mi dice: Ma lì c’è la noce! Richiamiamo il paziente, gli completiamo l’esame facendogli bere bario molto diluito, questa volta, e non contrasto iodato, e la noce si evidenzia in tutto il suo splendore. Scoprendosi che non di guscio di noce si tratta, ma del gheriglio: il che giustifica anche quella strana immagine TC che tutti, ma proprio tutti, avevano interpretato come una piccola raccolta ascessuale.
Il paziente torna a bomba, e la noce gli viene rimossa definitivamente dalla gola.
Qual’è la morale della storia? E’ che un’informazione sbagliata, all’inizio, può compromettere l’intero corso di una storia clinica: in questo caso si tratta di una banalità che ha solo prolungato il ricovero del paziente senza danni per la sua salute, ma poteva essere qualcosa di peggio e allora accidenti, ecco l’episodio di malasanità che esplode sui giornali.
Un’altra morale, a uso e consumo di chi comincia o desidera cominciare a occuparsi di radiologia, è che fidarsi è bene ma non fidarsi è diecimila volte meglio: del clinico che propone l’esame, che talvolta non è quello che ha visitato il paziente, e anche di sè stessi, perchè troppa fiducia nelle proprie capacità può far sottovalutare un particolare molto critico del problema; e allora bisogna che a imperare sia il Metodo, quello che ti hanno insegnato (si spera) nella scuola di specialità, e non la fretta o la troppa confidenza (altrimenti si ricade diritti diritti nella cialtroneria, e il boomerang ci ritorna addosso).
Il bello della storia è che alla fine tutti, ma proprio tutti, ci siamo ritrovati a discutere dell’errore: lo abbiamo compreso, sviscerato in ogni sua parte, digerito. E c’è da sperare che la prossima volta nessuno dei tre specialisti in campo lo ripeterà.
Quando si dice il lavoro di squadra: anche se si sbaglia.